“Il teatro nella polis non era un’esperienza genericamente estetica o di riflessione esclusivamente etico-culturale, ma era un momento significativo della vita della comunità, che vi trovava espressa la sua problematica (anche storico-politica) più viva […] “Il teatro era un luogo vitale per l’autocoscienza della comunità stessa”.
La centralità del teatro per la vita politica dell’antica Grecia, la sua vocazione meta-estetica, sottolineati in questi passi di un articolo di Cinzia Bearzot (Luoghi della relazione nella Grecia antica apparso in Leussein 1-2/2014), sono stati il primo spunto da cui ha preso avvio il numero che avete davanti.
In un’epoca di democrazia malata (non solo quella italiana, si intende) e di dibattito sulla post-democrazia, come potevano non rivolgere lo sguardo al modo in cui quella stessa forma di governo era stata pensata e concretizzata? Così abbiamo chiesto alla nostra storica qualche delucidazione in più: “Ma fino a che punto si può estendere il ragionamento sulla funzione non solo estetica del teatro per la vita democratica di allora? Si può dire che il teatro costituisse il necessario correlato della democrazia nel senso che non si poteva e non si doveva concepire l’una senza l’altro? Se fosse così, chi o cosa oggi fa le veci del teatro greco: la tv, il cinema?”. La risposta ci ha confermato che stavamo sulla strada giusta: “La questione è complessa. Di primo acchito, sembrerebbe che prevalga oggi la funzione di intrattenimento rispetto a quella “educativa” (per così dire). Tuttavia, è pur vero che i contenuti di telefilm e serie TV, come dei film, riflettono spesso questioni dibattute dalla società e qualche volta intendono anche indirizzare l’opinione pubblica.” Ecco allora che abbiamo deciso di ricostruire la funzione democratica del teatro di allora e di confrontarla con chi ne fa le veci oggi.
Per quanto riguarda l’aspetto educativo, è importante tenere presente che il coinvolgimento di cittadini non esperti (estratti a sorte) nel deliberare per un intero anno su delicate e importanti questioni della polis trovava sensibili i tragediografi dell’epoca che privilegiavano trame incardinate intorno al processo decisionale, all’importanza della distinzione tra vera conoscenza e semplice opinione. Non deve sorprendere quindi che Creonte nell’Antigone si strugga per le nefaste conseguenze della sua dysboulia, ovvero della decisione affrettata che ho ha portato all’errore irreparabile (v. Teatro e democrazia dall’antica Grecia ai giorni nostri. Intervista a Edith Hall); o che Platone, già giovane scrittore di tragedie, vedesse il teatro con enorme preoccupazione per via del suo enorme potere mimetico (v. Platone teorico del teatro nella polis democratica di Corrado Cuccoro). Oggi il teatro ha decisamente perso quella centralità formativa, e con esso latitano altri luoghi di partecipazione e di fruizione culturale come biblioteche e sale da concerto (v. «E dov’è il luogo in cui ci si ritrova e si discute?». Conversando su lingua, istruzione e democrazia. Intervista a Tullio De Mauro). In generale, almeno per quanto riguarda il nostro paese, si riscontra una scarsa attenzione alla formazione permanente dei cittadini da parte della classe dirigente e di conseguenza un alto livello di analfabetismo (v. Migliorare le competenze degli adulti italiani Rapporto della Commissione di esperti sul Progetto Piaac). La tv, dal canto suo, come mezzo di informazione di massa sembra molto più interessato ad intrattenere e sedurre (infotainment) che ad educare, discernere e far discutere, nonostante l’ampia offerta di talk show (v. Quel sasso contro il tubo catodico: Tortora, Funari, Santoro e Pavese di Alessandro Boschi).
Ma in generale è il tema della scelta ineludibile tra alternative incompatibili, cifra ‘tragica’ per eccellenza del teatro antico, che appare lentamente evaporare dal solco della storia della cultura occidentale, lasciando campo libero al comico (v. Teatro e filosofia: su alcuni testi di Antonio Capizzi di Giovanni Scattone). A testimonianza del lento dissolversi del tragico nel ‘drammatico’, si consideri la ‘tappa’ del teatro tardo elisabettiano che per la prima volta mette in scena le istanze più immediatamente economiche, dando risalto alle dinamiche del credito, del lavoro e della mobilità sociale (v. La riflessione sui temi economici nel teatro elisabettiano di Stefano Adamo). Se il teatro per sua natura respira la realtà politica e ne esprime i cambiamenti (v. Teatro e democrazia. La contraddizione come origine del sentire democratico di Pier Paolo Fiorini), l’affermarsi delle istanze economiche nella modernità sembra confinare il conflitto democratico negli spazi più privati e borghesi, sino ad annullare la differenza ontologica tra attore e spettatore (v. Lo scandalo dello spettatore. Teatro e democrazia secondo Jacques Ranciere di Marco Pustianaz).
Anche nel teatro di narrazione o cosiddetto ‘civile’, si assiste ad una sorta di annullamento ‘strutturale’ della tensione sulla scena dato che il monologo sostituisce la pluralità degli attori, guadagnando però una platea molto più larga grazie alla tv che preannuncia il successo politico di comici visionari (v. Spettatori e cittadini. La politica in scena tra teatro e propaganda di Marina Saraceno).
Dall’altra parte, il luogo istituzionale della politica per definizione, il parlamento, registra la stessa riduzione di senso quando le decisioni al suo interno vi vengono prese solo formalmente (v. Lo spazio del parlamento è un teatro? L’aula di Montecitorio come luogo fisico e come oggetto di discorso di Riccardo Bertolotti). A rappresentare l’ineludibilità del conflitto rimangono solo alcuni luoghi ‘eccezionalmente’ vitali, perché lontani dalla ‘normalità’ e dalla ‘assoluta’ libertà. È il caso dei penitenziari in cui si mettono in scena, per liberi cittadini, delle tragedie dal forte impatto simbolico (v. Catarsi, dalla Polis al Penitenziario. Intervista a Fabio Cavalli). Oppure è il caso anche delle sale cinematografiche, luogo ‘concentrazionario’ per eccellenza, in cui è possibile liberare anarchicamente lo sguardo, immaginare risorse potenti e infinite ipotesi di cambiamento (v. “L’idea era quella di liberare lo sguardo”. Cinema e politica da “il manifesto” a “Pagina99”. Intervista a Ciotta-Silvestri).
Ma è il caso anche delle città messe in scena dalle serie televisive americane in cui riprende vita il tragico attraverso le vicende dei suoi protagonisti che incarnano il male radicale ingaggiando ancora una volta una lotta impari con nuovi dei dell’Olimpo (v. La serie televisiva Boss, Chicago e il fato di Anna Camaiti Hostert).
Prima di lasciarvi, attiriamo ancora la vostra attenzione sia sulla questione armena a 100 anni dal genocidio (Il genocidio degli armeni e la stampa italiana nel 1915 di Vladimyr Martelli) pubblicando come raro un articolo dell’epoca (La questione armena di Filippo Meda), sia sull’inedito di Antonin Artaud, (L’evoluzione della scena) una cui frase poniamo a suggello di questo numero:
“Quello che bisogna fare è di ritrovare la vita del teatro, in tutta la sua libertà”.
Buona lettura!
Ps. Argomento del prossimo numero: “Figure oscillanti: sessualità, lavori, rappresentazioni, identità”.
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