Riformare i vinti

Riformare i vinti dello storico Giampaolo Conte uscito da pochi mesi per “Guerini scientifica” è un testo illuminante che attraverso un’attenta analisi storica, economica e politica, riesce a riannodare sotto le lenti di una solida e lineare ottica teorica una serie di fondamentali evoluzioni di cui è stato ed è protagonista il sistema capitalista, dalla sua fase mercantilista fino a quella finanziaria. Una serie di passaggi che l’autore riesce con chiarezza a sviscerare sotto vari aspetti, non ultimo quello dell’ideologia liberal-capitalista, di cui riesce egregiamente a smascherare l’incoerenza teorica e la smaccata “doppia morale” (cit. dal testo), che si realizza tanto al livello propriamente speculativo quanto sul piano delle conseguenti pratiche economico-politiche, ovvero la messa in sicurezza del saggio di profitto.

Attraverso concetti come Stato egemone, Stato semi- periferico, economia-mondo, contro-mercato, élite economica, classe egemone, riforma interna/riforma esterna, ecc., alcuni dei quali ripresi da autori capisaldi della critica al capitalismo, l’autore raggiunge magistralmente il duplice obiettivo di rendere la materia più intellegibile per i profani e di creare un discorso organico che sa arrivare agevolmente (e significativamente) ai giorni nostri. Tutto ciò è racchiuso in un’ interessante cornice al cui interno il lettore può rivolgere senza particolari affanni la propria attenzione a vicende storiche ed economico/politiche che rappresentano dei veri e propri spartiacque nei rapporti economici nazionali e transnazionali. Questi particolari momenti si collocano all’interno di un ampio arco temporale e si riferiscono ad entità territoriali che vanno dall’Impero Ottomano all’Egitto, fino alla Cina, passando per la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Francia, ecc. Grazie alla puntualità ed alla competenza attraverso cui l’autore conduce il lettore nei gangli di tali vicende (dall’abolizione delle leggi sul grano in Gran Bretagna nel 1846, alla creazione della Banca Imperiale Ottomana nel 1856, dai vari accordi di libero scambio internazionale al default dell’Egitto nel 1876, ecc.) quest’ultimo può rendersi conto delle dinamiche e delle strategie ad esse sottese, potendo riconoscervi input ed output di conformazione prettamente sistemica. A tale scopo contribuisce anche una scrittura fluida che, mentre bada al sodo, è capace al contempo di dotare di particolare enfasi quei momenti più carichi di portata teorica. Sono presenti inoltre nel testo alcuni schemi sinottici che riassumono e fanno il punto su quanto già espresso mentre prosegue il per(dis)corso che comunque, vale la pena ripeterlo, è già di suo dotato di particolare chiarezza. Certo quest’ultima è anche figlia di un’impostazione teorica che deve molto al marxismo, laddove a nostro avviso ciò non costituisce affatto un limite, fin quando ovviamente non ci si spinga ad assumerla come verità assoluta. E non è certo questo il caso.

Saper mettere a confronto gli autori del liberalismo classsico e quelli neoliberisti con critici del capitalismo del calibro di Antonio Gramsci senza scivolare nell’esercizio di stile, anzi contestualizzando tale confronto mediante precisi riferimenti storici, politici ed economici è senza dubbio un merito, che relega decisamente in secondo piano l’inevitabile limite di un’adesione teorica, peraltro mai eccessivamente parziale o ancor peggio acritica. Ed è altresì un ulteriore merito presentare un’analisi che, lungi dalle derive a dir poco semplicistiche del populismo, conduce su di un sentiero reso sicuro da solide basi scientifiche, il cui traguardo è quello di affrontare senza isterismi molti dei cosiddetti “nuovi” temi politici: perdita di sovranità di molti Stati-Nazione, aumento del divario tra le classi, impoverimento della classe media, smantellamento del Welfare, liberalizzazioni scellerate, primato della finanza sull’economia materiale, affermazione di sempre nuove Autocrazie e, non da ultimo, l’imposizione esogena di ristrutturazioni istituzionali e riforme presentate come irrinunciabili per il bene comune, ma molto spesso finalizzate al perpetrarsi delle diseguaglianze. Un’interpretazione che non concede alibi a quanti credono che l’egemonia dei vincitori sia nelle cose e che allo stesso tempo apre gli occhi ai vinti, conducendoli in modo perentorio e al contempo pacato alle radici della loro condizione, evitando di illuderli con facili proclami. Insomma, se le speculazioni sulla post-modernità da una parte e gli aspetti sempre più multiformi dell’evoluzione capitalista del sistema-mondo hanno avuto (anche) l’effetto di svincolare l’analisi del sistema egemone dalla sua genesi e dal suo percorso evolutivo, dandoli ormai per assodati o comunque inservibili per comprendere il presente, “Riformare i Vinti” riannoda invece in modo certosino i fili di questa evoluzione, rendendo senza dubbio tutto un po’ più chiaro.



Laureato in sociologia Università La Sapienza, Roma


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