“Le Istituzioni europee sono le uniche, finora, ad aver posto un freno al dominio delle multinazionali“
Arrivo nella Fondazione per la Collaborazione fra i Popoli dopo aver preso un bell’acquazzone in bicicletta. Aspetto il mio turno nell’anticamera, davanti a due foto di Prodi con Kofi Annan e di Prodi benedicente con dietro la bandiera dell’Unione europea. Ecco il tanto atteso “si accomodi”, il momento è arrivato! Il primo approccio con il Professore in realtà è stato all’Università di Bologna qualche mese prima, durante la festa dell’Europa, quando mi si è avvicinato, superando un esercito di professoroni, appena sono riuscito a dirgli che avevo fatto una tesi su di lui e Chirac. Ma oggi l’emozione è davvero grande per me: nato nell’anno della caduta del muro, ho fatto ogni tipo di Erasmus possibile tra Parigi e Bruxelles; un “ragazzo dell’Europa”, insomma, con metà degli amici sparsi per l’area Schengen. Il Caso per giunta fa sì che il giorno dell’intervista cada proprio tra l’anniversario della Rivoluzione russa e quello della caduta del Muro di Berlino.
All’inizio avrei voluto farmi raccontare dell’IRI2, Craxi e Raul Gardini, ma si fa molto serio e mi riporta sull’Europa e allora gli chiedo di un continente sotto il ricatto dell’euro. Mi offre così uno sguardo interessante, spostando il nocciolo della questione da un’ottica europea ad un’ottica mondiale: tiranno d’Europa non è l’euro ma un capitalismo pieno di diseguaglianze.
L’intervista prosegue come un viaggio nostalgico, attraverso i racconti delle grandi tappe che hanno portato all’ingresso dell’Italia nella moneta unica: la visione comune e i compromessi positivi. Tutto bello, ma adesso che si fa? Il mio europeismo sembra vacillare da qualche tempo a causa della mancanza di un sogno e di una forte identità comune. Ciononostante, il Professore mette in risalto il ruolo storico dell’Europa unita mentre vede timidi segnali di ripresa. Per sintetizzare la complessità del processo mi dice una frase di Kohl: “Roma non si è fatta in un giorno. Ora facciamo questo, poi faremo il resto”. Spero tanto abbia ragione lui.
Dopo un’ora e mezza di intervista, finalmente non piove più e posso tornare in bicicletta alla stazione. Lì mi aspetta il treno veloce per Milano, che ad un’ora di viaggio è diventata ormai la periferia di Bologna, come dice Romano Prodi. Resto pago del mio incontro con uno dei bolognesi più illustri, dopo Gino Cervi e Gianni Morandi.
Professore. Il neoliberismo, l’austerità, la BCE, i vincoli dell’euro, la supremazia della Germania sono tutti fenomeni-spettri che si aggirano per un’Europa indebolita e insicura, non certo quella che avevano sognato Rossi e Spinelli a Ventotene quasi ottanta anni fa. Sovranismi e populismi sembrano reagire a questa situazione prendendosela più con l’euro che con il neoliberismo, più con la Germania che con il mercato globalizzato e le multinazionali. Sta di fatto che tra i paesi più deboli dell’unione si staglia la paura di fare “la fine della Grecia”, come un’ombra tirannica che si proietta sulla loro sovranità e capacità di decidere. C’è un tiranno che si aggira oggi per l’Europa? Se si, chi è: il neoliberismo o l’euro?
Andiamo con ordine: il neoliberismo è la dottrina dominante nel mondo. Non vedo alcun cambiamento in questa tendenza tra prima e dopo l’introduzione della moneta unica europea. L’euro ha semplicemente spostato la sovranità da un paese ad una struttura sovranazionale, ancorché imperfetta. La critica al neoliberismo ha ben poco a che fare con l’euro. Ha a che fare con l’aumento della ricchezza, con l’aumento delle diseguaglianze, con la presenza di strutture globalizzate e globalizzanti e con i nuovi media.
Il neoliberismo che si vuole criticare ha a che fare più col dollaro che con l’euro. Se l’euro fosse all’origine di ogni male e scomparisse, il sistema neoliberale per questo cesserebbe di esistere?
Magari no, però l’euro non può aver giocato un ruolo impositivo di politiche di ispirazione ordo-liberale3 per quei paesi che hanno deciso di adottarlo?
Non facciamo confusione. L’euro non esercita una sovranità globale. L’euro raccoglie una sovranità dai diversi paesi, ma l’ordine neoliberale è stato garantito dal dollaro non dall’euro. L’euro in fondo ha contribuito ad un maggior riequilibrio nell’ordine mondiale. Se il liberalismo aveva come pilastro il dollaro, l’euro ha provato a compensarlo, ma non c’è riuscito. Questo a causa delle crisi economica nell’area euro.
Il presidente cinese diceva: se accanto al dollaro c’è posto per l’euro, allora ci sarà c’è posto anche per la mia moneta. Era una garanzia di un passaggio ad un maggiore equilibrio mondiale che ancora non è avvenuto ma che, almeno potenzialmente, può avvenire in seguito.
L’euro è dunque un altro strumento del neoliberismo?
Che il neoliberismo trionfi con la fine dell’Urss e che questo segni la vittoria del sistema capitalismo è evidente, l’euro non c’entra. Sembrava che con la caduta del Muro cambiasse il mondo con il trionfo delle democrazie liberali. Ora questo slancio si è fermato. Basti guardare il segno dei tempi, dalle Filippine alla Cina, fino agli Stati Uniti ed il Brasile.
E l’Europa4?
L’Europa, ahimè, è spettatrice di questo cambiamento. Potrebbe essere protagonista, ma non lo è, è confinata ad un ruolo secondario.
Questo anche a causa dell’indebolimento successivo della Commissione europea: dalle divisioni dei grandi Paesi a proposito dell’intervento in Iraq nel 2003 alle clamorose bocciature del trattato costituzionale di Francia e Paesi Bassi nel 20055…
In troppi settori non c’è una politica europea, ma solo dove è possibile si ha la supplenza della BCE. È bene tenere presente, però, che il mondo è ancora diretto dagli Usa e noi siamo in balia delle tensioni degli Stati Uniti con gli altri Paesi. In questo scenario assistiamo soprattutto all’ascesa e all’aumento del potere cinese come controparte.
La nascita dell’euro6 si può dunque considerare la grande decisione politica che di fatto spoliticizza l’economia e sancisce il dominio della Germania?
Se non ci fosse l’euro la Germania cosa sarebbe? La moneta unica è stato fatto proprio per riequilibrare il potere tedesco: l’euro è legato a doppio filo con la battaglia per l’unificazione tedesca. La Germania ha accondisceso alla nascita dell’euro, Francia e Gran Bretagna hanno accondisceso all’unificazione. Fu proprio la Francia di François Mitterrand a pretendere la nascita della moneta comune per legare la Germania unificata all’Europa. Ora, con lo spostamento del potere dalla Commissione (organismo sovranazionale, ndr) al Consiglio (organismo intergovernativo, ndr), appare evidente come sia il governo più forte a essere egemone. Come nella giungla dove è l’animale più forte a dominare.
Quindi siamo nella giungla?
Attenzione, se non ci fosse l’euro la Francia, l’Italia e gli altri grandi Paesi conterebbero ancora meno e la Germania avrebbe un ruolo ancora più egemonico. A riguardo si formulano dei giudizi fantasiosi senza analizzare la storia. La potenza economica tedesca è molto superiore a quella degli altri Paesi, sia come produzione industriale che come attivo della bilancia commerciale. Purtroppo, la politica sciagurata di austerità ha ulteriormente aumentato questo potere.
Ma queste politiche non sono il simbolo di una visione tedesca ordo-liberale? La Germania della “economia sociale di mercato” che impone la sua visione?
La politica tedesca è più neoliberale che sociale di mercato. Questa è però una tendenza generale.
Eppure, il welfare state7, seppur in crisi, rimane uno dei punti forti dell’Europa.
Il welfare è l’Europa! Ma in un contesto di politiche neoliberali, in cui l’unico nemico è l’imposta, è chiaro che lo stato sociale non può prosperare. La tensione anti-imposta ha per conseguenza ovvia la riduzione dello stato sociale. Quando io facevo i miei primi studi di politica economica, si faceva sempre riferimento all’equazione più tasse più servizi, oppure meno tasse meno servizi. Ora pare sia valida solo l’equazione meno tasse. E stop.
Quindi stiamo pagando le conseguenze delle politiche neoliberali di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan8?
Certo. Quello è il neoliberismo, non c’entra nulla con l’euro. È un tipo di globalizzazione fondata sul dollaro. L’euro poteva essere un fattore di riequilibrio, ma la crisi l’ha indebolito.
Ora si sta riprendendo?
Timidamente.
E come9?
Ora la politica di Trump fa sì che i paesi orientino le loro riserve un po’ sull’oro e leggermente sull’euro. La Russia ha messo il 40% delle sue riserve in euro. Si tratta per ora di fenomeni di portata limitata.
Quindi l’Euro e le politiche economiche ad esso sottese non sono una forma di “tirannia” o, quanto meno, di scarsa democrazia?
No. La tirannia è il neoliberismo dottrinale e senza controlli, non l’euro!
L’euro avrebbe potuto riequilibrare, ma non c’è riuscito, come si è detto. Però è uno strumento importante che si è inserito nel momento storico di passaggio al mondo multipolare. Tuttavia, non è questo strumento di per sé che esalti il neoliberismo. Questo è quello che io penso, poi vedremo in futuro se un Europa più unita e un euro più custodito possano correggere la “plutocrazia” dell’”iper-liberismo”. Per ora non è detto, c’è qualche segnalino. Debole, ma c’è.
Qual è il problema vero?
Che le disparità stanno raggiungendo livelli insostenibili.
Però la gente non si ribella di fronte ad una disparità salariale di circa 400 volte tra un amministratore delegato ed un operaio, tanto per fare un esempio.
Oggi non si ribella, ma ci sarà un punto di rottura. Non può esserci questo mondo di diseguaglianze crescenti. Le ribellioni contro gli abusi nella storia dell’umanità ci sono sempre state, prima o poi avvengono.
Ai tradizionali elementi di disparità oggi si aggiunge il grande tema del dominio delle multinazionali della connettività (Google, Apple, e-bay, Alibaba, Amazon, etc.)
In effetti la Commissione europea ha multato prima Microsoft, poi di recente Apple.
Per questo sono perplesso che l’Europa sia il tiranno, anzi quest’idea a me fa solo sorridere. Forse lo è l’insieme dei Paesi europei non la Commissione europea. Solo la Commissione ha avuto la capacità e la forza di obbligare Apple a pagare. Solo il Parlamento europeo è riuscito ad occuparsi della questione dei diritti d’autore.
Bastano?
Sono cose minime. Anche perché la progressione di questi giganti continua in maniera impressionante. Il ruolo è crescente e diventa insostituibile. I soli casi dove ci sono state correzioni o interventi, sono avvenuti grazie all’Unione europea. Detto ciò quando dico minima, è minima. Una piccola pezza di fronte all’oligopolio mondiale che non ha precedenti nella storia mondiale. Le Istituzioni europee sono le uniche che stanno cercando di contrastare queste “tirannie”.
In cosa sperare dunque, in un cambiamento? Nel ritorno di politiche neokeynesiane?
Da un punto di vista accademico il cambiamento c’è già stato. Dai riconoscimenti dell’Accademia a Thomas Piketty in poi il problema delle diseguaglianze è preso in grande considerazione. Porvi un limite, un correttivo ecco, questo è il grande compito.
Torniamo sul ruolo della BCE. Non è corretto sostenere che questa sia l’alfiere e il braccio armato di politiche economiche care alla Germania?
Senza la banca centrale la Germania cosa faceva? Si sarebbe sviluppata senza tenere in alcun conto i suoi vicini. E noi cosa avremmo fatto? Saremmo ricorsi allo stesso riparo contro la Germania che abbiamo adottato per decenni: la svalutazione.
È un male?
Un’economia che svaluta continuamente è un’economia di sfacelo. Svalutare vuol dire perdere il contatto con la realtà; vuol dire esportare di più, ma importare a carissimo prezzo. E noi non abbiamo materie prime.
È un povero rimedio che non tiene conto della realtà dell’economia.
Da Maastricht in poi noi non possiamo più svalutare. È stato nella sorpresa generale di molti che nel maggio 1998 l’Italia è entrata a fare parte della moneta unica. Un risultato su cui pochi avrebbero scommesso, anche perché la lira italiana nel corso della storia repubblicana è stata svalutata del 600% sul marco tedesco10.
La decisione di entrare nell’euro fu unanime di tutto il mio governo (Prodi I, 1996-1998, ndr) e per prima cosa mandammo a Kohl e a Chirac una lettera di una chiarezza estrema, nella quale enunciavamo un piano fiscale coerente e applicabile, che si sarebbe poi tradotto nell’Eurotassa. Ma il problema vero è che l’Italia allora non aveva allora nessuna credibilità. Vigeva una sfiducia completa sulla politica italiana, che negli anni precedenti aveva fatto ricorso a continue svalutazioni e, negli anni Ottanta, a un indebitamento folle. Insomma, ci siamo presentati all’appuntamento con l’euro con un pedigree devastante e ci siamo trovati senza alcun sostenitore forte, ma con alcuni avversari specifici.
Chi erano questi avversari specifici?
L’avversario più esplicito erano i Paesi Bassi per voce dell’allora ministro delle finanze Gerrit Zalm. Chiaramente l’ostacolo più duro era rappresentato dalla Germania. In Germania c’era una parte della CDU contraria e tutta – tutta! – la CSU era a sfavore dell’ingresso dell’Italia. Il problema dunque fu costruire una serie di alleanze che potessero favorire l’Italia.
E da dove cominciaste?
Il primo a darci una mano fu il presidente francese Jacques Chirac11 al vertice di Chambéry nell’ottobre del 1997. Espresse in modo chiaro l’appoggio all’Italia. E che appoggio, la Francia non è certo l’ultimo dei governi europei!
Cosa avvenne12?
Avvenne che, ad una domanda di un giornalista che chiedeva sul senso di fare accordi insieme quando al successivo vertice la Francia avrebbe fatto parte dell’euro e l’Italia no, Chirac con la classica prosopopea e lo stile oratorio francese dichiarò: “Il n y a pas l’Europe sans l’Italie!”.
Un bel assist. Ma questo bastò per vincere le riserve dei Paesi ostili, quelli che definivano l’Italia e gli altri Paesi latini, i Paesi del “Club Med”13? Per esempio, con la CSU/CDU cosa avvenne?
Con Edmund Stoiber (Presidente del Land della Baviera) vi era un ottimo rapporto personale: quando ci incontrammo, il colloquio fu fermo ma non teso. Gli dissi un po’ scherzando e un po’ per farlo riflettere: “Facciamo un patto costruiamo un ‘lattodotto’ (sic) da Monaco a Bolzano. Poi magari al posto del latte arriverà il burro…” Allora mi risposte sorridendo: “Ho capito Romano dove vuoi arrivare: se devo ritrovarmi ad avere un mercato vicino che svaluta continuamente, allora pensi che anche per noi sia meglio che l’Italia entri nell’Euro?”. Piano piano ci siamo avvicinati.
Tuttavia, l’Olanda è rimasta fermamente contraria. Il ministro delle finanze dichiarò che quello che “non faranno i governi, lo faranno i mercati”
Mi ricordo, era un venerdì pomeriggio. Nero.
Sono sempre neri i venerdì?
Sì, si attende il fine settimana per dare la destabilizzazione più forte. E invece ce l’abbiamo fatta. Il nostro obiettivo era 1000: a 1000 lire per un marco non siamo arrivati, ma abbiamo portato a casa 990, sapendo che in Italia c’era chi si sarebbe accontentato di 950, è stato un risultato straordinario.
Come avvenne?
Al telefono il Cancelliere tedesco mi annunciò la sua decisione di accettare il cambio a 990 lire per marco. Mi ricordo il colloquio al telefono con Kohl. Ho trattenuto a stento un urlo di gioia, tutti i giornali d’Italia erano contenti. Poi è chiaro che con l’euroscetticismo è normale incolpare l’euro di tutti i disastri, ma fino alla crisi l’euro andava bene. È stata la gestione della crisi a peggiorare le cose, la gestione di una crisi che non era prevedibile.
È mancata una politica fiscale comune.
Io da economista dicevo a Kohl: “Come si fa ad avere una politica monetaria senza una politica fiscale comune?” e Kohl mi rispondeva: “Roma non si è fatta in un giorno. Poi faremo il resto”. Ma il resto non è stato fatto. Sono cambiati i politici ed è cambiata la politica. Fintanto che saremo in questa condizione dovremo accontentarci del collante della BCE.
I suoi racconti dei colloqui con il Cancelliere tedesco mi spingono a chiedere se e quanto contano le relazioni personali in politica? Lei ha parlato di Helmut Kohl14, che era Cancelliere, ma anche il leader di un partito, la CDU, una formazione non certo di centro-sinistra.
Con Kohl avevo un rapporto personale ottimo. Pur appartenendo a schieramenti politici diversi con lui c’era una fiducia personale, al di là dell’appartenenza. Con Chirac l’accordo era sempre possibile, con Sarkozy15 che gli è succeduto all’Eliseo e che proveniva dal suo stesso campo, non ci si accordava su niente.
Helmut Kohl è ricordato come il “Cancelliere della riunificazione”16, uno dei più grandi statisti della Germania contemporanea, condivide questo giudizio?
Grande leader, soprattutto con una grande virtù: era un semplificatore. Analizzava e arrivava sempre al sì o al no.
Ma in un mondo multipolare, complesso, attraversato da spinte e interessi spesso contrastanti, si può arrivare al sì o al no?
Sì, i pasticcioni arrivano sempre al “nì”. Bisogna arrivare al problema con una tesi, magari in modo anche complesso, ma poi si deve giungere al sì o al no.
Il miglior leader?
Nella mia esperienza il leader più completo è stato Bill Clinton. Tra i tanti leader che ho frequentato debbo dire che Clinton, più di ogni altro, possedeva capacità analitica, ma anche la capacità di spingere all’accordo e di trovare la sintesi di compromesso.
Matrice pragmatica anglosassone?
No, è un fatto naturale.
E il leader della Terza via17, l’astro della politica del 1997: Tony Blair?
Intelligente e vivace, ma non aveva la flessibilità di Clinton. Intelligente certo, ma Clinton era molto più capace di aggregare.
C’è forse da rimpiangere l’introduzione della norma che limita l’elezione del Presidente a due mandati. Magari Bill Clinton18 avrebbe potuto fare come F. D. Roosevelt.
No, le democrazie devono avere l’alternanza. Con un periodo troppo corto non si governa, viceversa con un periodo troppo lungo si va verso l’abuso.
Permetta una piccola divagazione. Oggi è l’8 novembre. Ieri era l’anniversario della Rivoluzione bolscevica e domani si celebrano i trent’anni della caduta del Muro. Alcuni storici hanno teorizzato il Novecento, il secolo breve, proprio tra il 1917 e il 1989. Ci fu qualcuno che addirittura parlò di “fine della Storia”19.
Sicuramente il Novecento è finito, e finisce senza un ruolo significativo dell’Europa nel mondo.
Un secolo di guerre il Novecento, abbiamo archiviato anche quelle?
Io sono preoccupato, ho sempre pensato che queste cose possano accadere di nuovo. Le persone che da ragazzo consideravo sagge mi dicevano: “Attento che queste cose sono scoppiate perché fanno parte dell’animo umano”. E se la politica non tiene a freno alcune pulsioni dell’animo umano, quelle più distruttive e prevaricatrici, se non esercita il suo ruolo di ri-equilibratore scoppia la tragedia. È necessaria l’opera di mediazione e ricomposizione della politica mondiale. Attenzione però, che proprio la frammentazione della politica può portare ad un momento in cui non riesci più a riequilibrare le tensioni della società e a trovare la mediazione. L’Italia questa mediazione l’ha sempre trovata al di fuori, con l’Europa (la CEE e poi l’Ue ndr), essendo noi immersi in questo contesto.
Durante la conferenza per la giornata dell’Europa il 9 maggio lei chiuse il suo intervento lodando la figura di Lorenzo Natali20, politico abruzzese di spicco e commissario europeo. Il suo intervento mi colpì perché di Natali tenne a sottolineare la capacità di mediazione che aveva in Europa.
L’Europa per noi è stato il fattore di riequilibrio per una società estremamente divisa al proprio interno come quella italiana. Siamo un Paese frammentato, complesso. Proprio in questi giorni ho rilasciato un’intervista sul Muro di Berlino21: l’unico Paese diviso al suo interno era l’Italia. In Germania il muro divideva due Paesi, in Italia uno solo.
1 Il vertice franco-italiano che si tenne a Chambéry nell’ottobre del 1997 fu importante sotto due aspetti. Segnò la ripresa delle relazioni franco-italiane dopo la stasi del 1994-1995, con la volontà di proseguire nel progetto dell’Alta Velocità ferroviaria, ma ebbe soprattutto una grande valenza politica. La Francia espresse pubblicamente il sostegno all’Italia quale Paese candidato a entrare nel primo nucleo dell’area Euro e il governo Jospin fece sponda al governo italiano sul disegno delle 35 ore, provvedimento in approvazione in Francia e reclamato in Italia da Rifondazione comunista, il capriccioso alleato dell’Ulivo che stava minacciando l’ennesimo venir meno della fiducia al Governo Prodi I (1996-1998).
2 Romano Prodi, oltre a una lunga carriera accademica, ha ricoperto negli anni numerosi incarichi pubblici. Giovane ministro nel 1979, fu per buona parte degli anni Ottanta presidente dell’IRI. Carica che ricoprì anche nel concitato biennio 1993-1994. Presidente del Consiglio dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008. Perquanto riguarda l’integrazione europea, il suo governo riuscì nel difficile compito di fare entrare l’Italia nel nucleo fondatore dell’Euro e successivamente ricoprì l’incarico di Presidente della Commissione europea (1999-2004) nel periodo cruciale del passaggio alla Moneta unica e dell’allargamento ai Paesi dell’Est.
3 L’ordo-liberalismo è una corrente di pensiero economico che si sviluppa nella Germania di Weimar dalla scuola di Friburgo e attorno alla rivista Ordo. L’ordo-liberalismo è una forma di pensiero economico particolarmente cogente e estremamente attenta a determinare attraverso la politica le condizioni dell’equilibrio economico, che sono le condizioni della libera concorrenza e dell’esclusione delle interpretazioni dell’economia in chiave conflittuale. Questa visione tende a coniugare la libertà economica dentro una cornice giuridica garantita dallo Stato. La visione ordo-liberale ebbe particolare fortuna in Germania federale durante i governi di Konrad Adenauer, grazie all’opera del ministro delle finanze Ludwig Erhard il fautore dell’”economia sociale di mercato”. Essa costituisce uno dei pilastri del cosiddetto “modello tedesco” assieme al neo-consociativismo.
4 Con il termine “Europa” si deve intendere l’attuale Unione europea.
5 Nel 2005 i Paesi Bassi e la Francia bocciarono la Costituzione europea firmata solennemente a Roma il 29 ottobre del 2004. Di grande impatto fu la bocciatura francese, Paese che assieme alla Germania costituisce il motore dell’integrazione europea. La Francia, già protagonista della bocciatura della CED nel 1954, vide nel 2005 un’opinione pubblica sfavorevole alla Costituzione europea. Anche maggiori partiti dell’epoca, l’UMP e il PS, sebbene ufficialmente a favore, presentavano al loro interno componenti contrarie all’approvazione del testo.
6 Il cambio dell’Euro entra in vigore il primo gennaio 1999, mentre il primo gennaio 2002 inizia a circolare la nuova divisa nei Paesi che formano il primo nucleo dell’Eurozona.
7 Il welfare state nacque nel Regno Unito in contrapposizione al warfare state degli anni della Seconda guerra mondiale. Principale realizzazione del governo laburista di Clement Attlee, lo stato sociale o état providence in francese, vide la propria diffusione in tutta l’Europa occidentale fino alla soglia degli anni Ottanta. Seppur ridimensionato, il welfare state è a oggi una delle principali acquisizioni per la cittadinanza europea.
8 Negli anni Ottanta il Primo ministro britannico Thatcher e il Presidente americano Reagan diedero impulso ad una serie di riforme economiche volte a liberalizzare l’economia, ridurre la spesa pubblica e i di conseguenza i servizi. In Gran Bretagna questa politica portò a una decisa riduzione del debito pubblico. Questa visione economica di disimpegno dello Stato e riduzione della pressione fiscale è ascrivibile alla scuola di Chicago di Milton Friedman, meglio conosciuta come neoliberismo.
9 Secondo il Financial Times il ruolo dell’euro come riserva internazionale è passato dal 19 % delle transazioni dei primi anni per toccare il suo apice nel 2006 col 27% per arrivare al 21% attuale.
10 La moneta italiana fu svalutata a più riprese. Se nel 1960 la Lira italiana vinceva “l’Oscar” come la moneta più solida assegnatoli dal Financial Times, nel 1992 in seguito al “mercoledì nero” l’Italia si vide costretta ad abbandonare lo SME.
11 Jacques Chirac è stato Sindaco di Parigi nonché il primo ministro dal 1974 al 1976 e poi dal 1986 al 1988, quindi Presidente della Repubblica francese per due mandati consecutivi dal 1995 al 2007. È stato uno degli esponenti di spicco del gollismo francese e uno dei politici più longevi e influenti della storia recente di Francia. Clamorosa fu l’elezione nel 2002 per il secondo mandato presidenziale dove raccolse l’82% dei suffragi al ballottaggio contro il candidato dell’estrema desta Jean – Marie Le Pen.
12 All’epoca del summit di Chambéry (2-3 ottobre 1997) in Francia c’è il governo a guida socialista che coabita cono un Presidente della Repubblica di centro destra. La cosiddetta “terza coabitazione” vede Jaques Chirac e Lionel Jospin governare insieme nel periodo 1997-2002. La politica estera è una delle prerogative del Presidente della Repubblica, mentre le politiche sociali, appannaggio del governo, sono condotte dal ministro Martin Aubry. Il governo avvia riforme di stampo neo-socialdemocratico che vertono sulla riduzione dell’orario di lavoro, queste erano guardate con favore anche in Italia, in particolare da Rifondazione comunista.
13 Termine dall’eco dispregiativo per indicare i Paesi più indebitati dell’Europa mediterranea che aspiravano ad entrare nel nucleo iniziate della Moneta unica. Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.
14 Helmut Kohl fu cancelliere tedesco dal 1982 al 1998 e leader della CDU dal 1973 al 1998. Dapprima cancelliere della Repubblica federale tedesca, diviene dal 3 ottobre 1990 cancelliere della Germania unificata. Con il presidente francese François Mitterrand è stato uno dei padri del Trattato europea di Maastricht.
15 Nicolas Sarkozy, già ministro e leader dell’UMP, il partito fondato da Jacques Chirac, diventa Presidente della Repubblica francese nel maggio 2007. Per i primi dodici mesi del suo mandato presidenziale in Italia vi era il governo Prodi II. Frequenti saranno i dissapori con il nostro Paese, in particolare riguardo alla vicenda dei migranti a Ventimiglia e la crisi libica nel 2011.
16 Come ricorda Romano Prodi, fu la volontà di Helmut Kohl a procedere subito con l’unificazione della Germania a essere determinate per l’esito dell’unificazione tedesca.
17 Terza via o Third Way, termine che sintetizza una corrente politica che mira ad armonizzare gli aspetti più ingiusti del capitalismo pur preservando le libertà economiche. Il primo ministro britannico Tony Blair (in carica dal 1997 al 2007) fu uno dei principali esponenti di questa visione.
18 Presidente degli Stati Uniti d’America dal 1992 al 2000. Democratico, in politica estera è tra gli artefici della pace in ex – Jugoslavia e del riavvicinamento fra Israele e Palestina.
19 Lo storico Eric J. Hobsbawm definisce il Novecento il “Secolo Breve” individuandone gli estremi fra la Rivoluzione russa e a caduta dell’Unione sovietica nel 1991. Il concetto di “fine della Storia” fu teorizzato dal politologo Francis Fukuyama già nel 1989 poi ripreso nel 1992, in cui ipotizzava che l’umanità avesse raggiunto l’apice di sviluppo durante il XX secolo.
20 Lorenzo Natali è stato un politico abruzzese della DC che ha ricoperto numerosi incarichi di governo sia in Italia che in Europa. Per la Commissione europea ha ricoperto il ruolo di commissario per tre mandati consecutivi dal 1977 al 1989. Tra gli altri incarichi, fu Natali in qualità di commissario all’allargamento a gestire l’ingresso nella CEE di Grecia (1981), Spagna e Portogallo (1986).
21 Proprio durante i giorni di colloquio col Professore ricorrevano i 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989.
'Intervista con Romano Prodi. La tirannia non è l’euro ma il neoliberismo senza controlli.' has 1 comment
6 Maggio 2020 @ 19:28 La Rassegna Stampa del CRS - CRS - Centro per la Riforma dello Stato
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