“Al momento trovo l’esilio una categoria più appropriata di quella di esodo. Perché noi che volevamo «cambiare il mondo», adesso siamo come emigrati interni, con diritti ma senza riconoscimento, in senso hegeliano, confinati dentro questo mondo, che è cambiato per conto suo, il mondo del mercato e del denaro, della tecnologia avviata a esiti postumani, della comunicazione al posto del pensiero, dell’individuo senza persona, della massa senza popolo, del popolo senza classe” [Mario Tronti, “Che fare?”, intervista rilasciata a “il manifesto” il 24 luglio 2021].
“L’esilio è una sorte tristissima. Prima dell’epoca moderna la messa al bando era una punizione particolarmente atroce, poiché non comportava soltanto anni di peregrinazioni senza meta lontano dalla famiglia e dai luoghi familiari, ma significava anche diventare una sorta di reietto senza speranza, che in nessun luogo si sarebbe mai sentito a casa, in perenne conflitto con l’ambiente, inconsolabilmente legato al passato, pieno di amarezza riguardo al presente e al futuro. L’idea dell’esilio è sempre stata associata al terrore di essere un lebbroso, socialmente e moralmente un intoccabile. Ma nel ventesimo secolo, l’esilio ha subito una trasformazione: l’antica punizione, espressamente, talora esclusivamente concepita per taluni individui eccezionale – come il grande poeta Ovidio, bandito da Roma e confinato in una remota località del Mar Nero-, è diventata oggi un castigo crudele che colpisce interi popoli e comunità, spesso conseguenza indiretta di fattori impersonali quali una guerra, una carestia, un’epidemia.” [Edward Said, Dire la verità]