“A questa Guerra diedero inizio gli Ateniesi e I Peloponnesiaci, infrangendo il trattato di pace trentennale che avevano stipulato dopo la presa dell’Eubea. […] Ritengo che la causa più vera, quella meno manifesta a parole, sia che gli Ateniesi, diventando una grande potenza e incutendo paura ai Lacedemoni, li costrinsero a fare la guerra”.
[Thuc. I, 23, 5-6]
Con queste parole Tucidide introduce la descrizione degli eventi che portarono all’apertura delle ostilità fra Atene e Sparta nel 431 a.C. e da queste parole Graham Allison[1] prende lo spunto per analizzare quello che, a suo giudizio, è uno scenario certo non inevitabile, ma molto più probabile di quanto si sia soliti ammettere: lo scoppio di una guerra fra gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese. È stato lo stesso Allison, figura di rilievo in ambito accademico con una vasta esperienza di collaborazione con il mondo politico, a rendere popolare un’espressione che, nel bene o nel male, è ormai entrata nel lessico di molti analisti: la “trappola di Tucidide”. Nell’Introduzione, l’autore definisce il concetto: “quando una potenza emergente minaccia di destituire una potenza dominante, la tensione strutturale che ne scaturisce rende lo scontro armato la regola, non l’eccezione” (p. xv). Questo è quello che Tucidide parrebbe suggerire in merito allo scoppio del grande conflitto che sconvolse la Grecia oltre duemilaquattrocento anni fa. Si tratta di una chiave interpretativa valida solo per quello specifico episodio, oppure è applicabile anche all’analisi di eventi successivi? Nel corso della storia, quante volte il verificarsi di tale dinamica ha portato allo scoppio di un conflitto? Infine, se Tucidide aveva ragione, Stati Uniti e Cina sono destinati a scontrarsi militarmente o vi sono vie d’uscita da questa “trappola”?
Sin dall’inizio, Allison circoscrive in maniera inequivocabile quale sia il contenuto e l’intento del volume. Si tratta, nelle parole dell’autore, “di un libro sull’impatto di una Cina in crescita sugli Stati uniti e sull’ordine globale”. La prospettiva non è quella, determinista e pessimistica, di arrendersi a una guerra inevitabile, bensì, attraverso l’analisi dei precedenti storici, quella di evidenziare la necessità di prendere atto del rischio concreto che questo scenario possa verificarsi e di suggerire la necessità che entrambi gli attori, Washington e Pechino, agiscano mettendo in campo abilità nel governare e sensibilità politica al fine di evitare una catastrofe e di costruire relazioni pacifiche.
Il volume è diviso in quattro parti, con l’aggiunta di due appendici. In apertura (The rise of China), l’autore traccia davanti agli occhi del lettore il quadro, sotto certi aspetti sorprendente, di una Cina in repentina crescita non solo in ambito demografico ed economico, ma anche scientifico, tecnologico, ingegneristico e militare, suggerendo che, come già sta accadendo in alcuni settori, ben presto gli Stati Uniti potrebbero dovere fare i conti con lo smacco di essere scalzati dal gradino più alto di un immaginario podio delle superpotenze mondiali. Leggendo, dunque, si ha l’impressione che il sorpasso sia inevitabile. Gli si potrebbe obiettare (come ha fatto Arthur Waldron, Lauder Professor of International Relations presso la University of Pennsylvania) di avere una conoscenza del mondo cinese piuttosto scarsa[2] e limitata essenzialmente al punto di vista di élite molto ristrette e distanti dalla effettiva realtà del paese (così James Mann, fellow presso la John Hopkins School of Advanced International Studies)[3], o di sottovalutare molti problemi che potrebbero ben presto mettere in crisi la rapida ascesa cinese[4]. Soprattutto, lo stile dell’esposizione risente del desiderio di impressionare il lettore con i numeri, sfiorando talvolta il sensazionalismo. Ciò detto, il capitolo è ben documentato e risulta funzionale a introdurre in maniera efficace l’argomentazione dell’autore.
La sezione successiva (Lessons from History) è dedicata alla contestualizzazione della “trappola di Tucidide” e al confronto fra lo sviluppo delle relazioni USA-Cina e altre esperienze storiche che, a giudizio dell’autore e del suo gruppo di ricerca del Thucydides’s Trap Project[5], possono essere analizzate attraverso questa lente. Apre questa seconda parte il capitolo dedicato alla narrazione del grande scontro fra Atene e Sparta, o, per meglio dire, all’esposizione di queste vicende secondo l’ottica suggerita da Tucidide. Si tratta di un capitolo importante per due motivi: in primo luogo serve a dare un quadro storico degli eventi che spinsero lo storico ateniese a formulare la considerazione sulla “causa più vera”; inoltre permette, almeno in teoria, di inquadrare meglio il concetto di “trappola” e i criteri di inclusione ed esclusione dei possibili episodi storici presi in esame. Anche in questo caso vi sono alcune osservazioni da fare. Innanzitutto sarebbe forse risultato d’interesse dedicare alcune pagine alla questione relativa all’adeguatezza dell’analisi tucididea sullo scoppio della guerra del Peloponneso a fronte degli elementi provenienti anche da altre fonti storiche. Si tratta, certo, di un argomento ampiamente dibattuto[6] e che non può essere affrontato eccessivamente nel dettaglio in un volume che non ha, come scopo primario, l’esame della storia antica, ma sarebbe stato comunque opportuno mettere alla prova la “trappola di Tucidide” sul medesimo terreno in cui è nata. Soprattutto, però, l’autore non valorizza a sufficienza quanto accadde nei decenni che immediatamente seguirono le grandi vittorie a Salamina (Ateniesi) e Platea (Spartani) contro i Persiani. Certo, lo sviluppo della potenza ateniese poteva preoccupare gli Spartani nell’ottica del mantenimento dell’egemonia sui Greci; tuttavia proprio negli anni ’70 del V secolo a.C. si affermò nel quadro panellenico un equilibrio politico fondato sul bipolarismo, ovvero sulla divisione delle sfere d’influenza sulla base della vocazione marittima di Atene e di quella terrestre di Sparta, incarnato nella figura del politico ateniese Cimone. Quest’ottica, lungi dall’essere una soluzione occasionale, fu riproposta convintamente al momento della stipula della pace dei trent’anni nel 446 a.C., quando ormai Atene era ben più di una potenza emergente. Proprio le scelte politiche di questi anni avrebbero potuto suggerire ad Allison un’ulteriore via diplomatica per cambiare il corso degli eventi odierni.
Nel terzo capitolo (Five Hundred Years) l’autore riassume brevemente i risultati dell’analisi condotta da lui e dai suoi collaboratori sui casi in cui, negli ultimi cinquecento anni, si sarebbero verificate le condizioni necessarie per fare scattare la “trappola di Tucidide”. Delle sedici coppie potenza dominante – potenza emergente prese in esame, per dodici volte l’esito è stato la guerra. Allison procede ad analizzare solo brevemente alcuni di questi casi per poi concentrare l’attenzione sui rapporti fra Impero britannico e Germania tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della Prima guerra mondiale, che, secondo lo studioso, rappresenta l’analogia più vicina allo stallo attuale fra Stati Uniti e Cina. Un appunto è d’obbligo: per quanto sia innegabile che in dodici dei sedici casi presi in considerazione l’esito sia stato la guerra, sarebbe comunque opportuno domandarsi se il campione sia sufficientemente significativo e se non vi siano molti più esempi, su scala globale come anche locale, in cui la “trappola” sia scattata o sia stata prontamente evitata. Lo stesso autore, d’altronde, è ben conscio di queste e altre possibili critiche e cerca di dare brevemente risposta nella seconda appendice in calce al volume. Nel sito internet del Thucydides’s Trap Project, inoltre, sono elencati quattordici ulteriori casi in corso di valutazione[7].
Chiuso questo capitolo, si apre la terza sezione del volume (A Gathering Storm), in cui l’autore si propone di spiegare per quale motivo le tendenze attuali nelle relazioni fra USA e Cina sono come l’addensarsi di nubi minacciose. Con un ardito accostamento, che forse farà storcere il naso ad alcuni americani “patriottici”, Allison mette in parallelo l’atteggiamento attuale della Cina di Xi Jinping verso i propri vicini con quello degli Stati Uniti tra fine Ottocento e inizio Novecento, incarnato nelle politiche di Theodore Roosevelt, prima Segretario della Marina e poi Presidente degli Stati Uniti d’America (Imagine China Were Just Like Us). Subito dopo, lo studioso rivela al lettore quale sia il desiderio di Xi Jinping e della (sua) Cina (What Xi’s China Wants), epitomandolo in uno slogan che suona assai familiare: “Make China Great Again”. In sostanza, sostiene Allison, l’obiettivo della Cina è arricchirsi, ottenere riconoscimento e rispetto, stornare l’interesse degli Stati Uniti dalle questioni relative alla sicurezza e alla stabilità del Pacifico e dell’Asia, sviluppando al contempo la tecnologia e accumulando le risorse necessarie per dare concretezza e plausibilità alle proprie ambizioni. Riprendendo poi la teoria di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà[8], l’autore sottolinea poi come, al crescere delle differenze culturali fra le due parti, è necessario che corrisponda una maggiore umiltà nel perseguire i propri obiettivi da parte dei leader dei due paesi. Chiude questa terza sezione del volume un capitolo dedicato a tratteggiare possibili scenari ed episodi accidentali che potrebbero accelerare il percorso verso lo scontro armato (From Here to War).
A questo punto il lettore, se non ha fatto propria la prospettiva indicata dall’autore all’inizio del volume, è portato a pensare che la guerra sia ormai solo questione di tempo e che non vi siano alternative. L’obiettivo di Allison, tuttavia, non è certo il catastrofismo, il suo approccio non è deterministico, e infatti la quarta parte del libro vuole indicare come la “trappola di Tucidide” non sia affatto inevitabile. Di nuovo è la storia a indicare la via da percorrere. Prendendo spunto dall’esame dei quattro precedenti storici di risoluzione pacifica del rapporto potenza dominante – potenza emergente, lo studioso individua dodici suggerimenti (Twelve Clues for Peace) che, se presi in considerazione da entrambe le parti, possono permettere di evitare il conflitto. Quello che accadde fra Spagna e Portogallo nel XV secolo permette così di capire che l’intervento di autorità superiori, in quel caso il Papato, oggi le Nazioni Unite, accolto in maniera costruttiva può aiutare a risolvere queste rivalità. Parimenti, tensioni fra stati possono essere stemperate dando vita a istituzioni economiche, politiche o di sicurezza di più ampio respiro, come ad esempio l’Unione europea. In sostanza, laddove la politica declina, aumenta il rischio di una risoluzione armata: il recupero di una dimensione corretta dell’attività diplomatica, la presenza di politici in grado di fare di necessità virtù e la valorizzazione delle reciproche vicinanze culturali possono sicuramente aiutare a tracciare il percorso verso la pace. La vera domanda è, però, quanto peso abbiano gli indizi suggeriti dalla Guerra fredda: la minaccia di una reciproca distruzione totale nata insieme alla bomba atomica può essere il deterrente più sicuro?
La possibile ricetta individuata da Allison per la risoluzione pacifica del contrasto fra Stati Uniti e Cina è esposta nel decimo e ultimo capitolo (Where do We Go From Here?) e si struttura in quattro punti: gli Stati Uniti devono riconoscere la nuova realtà strutturale; è necessario “applicare la storia” e, pertanto, un comitato di consiglieri storici dovrebbe affiancare il Presidente[9]; si devono inoltre riconoscere gli errori commessi nei rapporti con la Cina; infine bisogna prendere in considerazione ogni opzione strategica, anche la peggiore, accomodando situazioni pericolose e al contempo minando, laddove possibile, le fondamenta del rivale, negoziando una pace a lungo termine e congiuntamente ridefinendo le relazioni fra i due paesi. Quest’ultima sezione, la pars construens del volume, è forse quella che ha attirato maggiori critiche, anche alla luce del ruolo di consigliere che Allison ha ricoperto in numerose amministrazioni statunitensi, da Reagan a Obama[10].
Chiudono il volume, oltre alle conclusioni e all’appendice dedicata a rispondere a possibili obiezioni, un’ulteriore utile appendice in cui vengono descritti più nel dettaglio i sedici casi al momento inclusi nello studio del Thucydides’s Trap Project.
Vista l’importanza del personaggio, la voce di Graham Allison è sicuramente molto influente negli Stati Uniti, in ambito accademico come in quello politico. Non stupisce, dunque, che le sue posizioni abbiano suscitato grande dibattito e polarizzato le opinioni degli esperti. In questo volume Allison si propone, innanzitutto, di evidenziare come i precedenti storici indichino chiaramente che il percorso seguito da Stati Uniti e Cina nelle relazioni reciproche sia pericolosamente indirizzato verso il conflitto armato. Grazie all’impressionante mole di dati fornita, alla costruzione dell’argomentazione e a uno stile di scrittura accattivante, ma spesso, mi si permetta, un po’ enfatico, l’autore riesce a convincere il lettore della concretezza di questa minaccia. Quello che gli riesce meno bene, invece, è persuadere il suo pubblico non solo del fatto che la guerra possa essere evitata, ma che la storia possa fornire elementi utili alla risoluzione pacifica delle tensioni. Insomma, se l’intento del volume è quello di suonare un potente campanello d’allarme nell’opinione pubblica e fra le schiere dei politici a Washington (e anche a Pechino, visto che Xi Jinping conosce bene le posizioni di Allison), la missione dell’autore è perfettamente riuscita. Manca un po’ di efficacia, invece, nel tracciare una via efficace per risolvere lo stallo. Soprattutto sorprende l’assenza di una riflessione del ruolo che terze forze, quali la Russia o l’Arabia Saudita, potrebbero giocare non solo nell’evoluzione dei rapporti fra Stati Uniti e Cina, ma anche nello sportare gli equilibri mondiali. Nello scoppio e nell’evolversi della Guerra del Peloponneso le “terze forze” (la Beozia, Argo, Corinto, ecc.) ebbero un peso importante e riconosciuto dagli storici[11].
Nel complesso, tuttavia, questo volume ha il grande merito di avere smosso le acque e le onde concentriche, sviluppate da questo sasso lanciato, hanno dato nuova linfa al dibattito politico ad ogni livello. Si tratta, dunque, di una lettura di grande interesse e ricca di spunti, anche controversi. Comunque si giudichi l’opera di Allison, le si deve riconoscere il merito di avere spinto l’opinione pubblica a prendere coscienza di una minaccia spaventosa, forse non così imminente, ma troppo spesso percepita erroneamente come impossibile. Soprattutto oggi, quando l’arte della politica sembra declinare inesorabilmente, la ricerca dei passi opportuni da muovere per la pacifica risoluzione di potenziali conflitti coinvolge tutti i livelli della società, perciò ben venga il dibattito!
Mi si permetta, infine, una piccola nota derivante dal mio interesse per la storia antica. Questo volume si inserisce in una più ampia messe di studi, in percentuale maggiore di provenienza statunitense, che recuperano in maniera più o meno appropriata il punto di vista degli antichi per fornire una lettura del mondo contemporaneo e Tucidide, in questo senso, è tra i più citati anche a sproposito[12]. Non è certo una dinamica nuova, ma spesso questo approccio può portare a storture. Varrebbe la pena interrogarsi in maniera più approfondita e aperta a un pubblico informato sul corretto avvicinamento a questa dinamica, per non correre il duplice rischio di usare Tucidide come un semplice nome per vendere più copie e di attribuire allo storico antico storture tipicamente contemporanee.
“Destined for War. Can America and China Escape Thucydides’s Trap?”
Graham Allison
Boston (Mass.), Houghton Mifflin Harcourt,
2017
pp. 384.
[1] Graham Allison, Douglas Dillon Professor of Government presso l’Harvard Kennedy School e, fino a giugno 2017, direttore del Belfer Center for Science and International Affairs, nel corso di quasi cinquant’anni di carriera si è affermato come uno dei più importanti analisti statunitensi in materia di sicurezza nazionale e politiche difensive, collaborando con ben cinque amministrazioni USA. Tra le sue pubblicazioni più importanti, si ricordano: Essence of Decision: Explaining the Cuban Missile Crisis, Boston (Mass.), Little, Brown & Co., 1971; Remaking Foreign Policy: The Organizational Connection, New York, Basic Books, 1976; Nuclear Terrorism: The Ultimate Preventable Catastrophe, New York, Henry Holt & co., 2004; Lee Kuan Yew: The Grand Master’s Insights on China, the United States and the World, Cambridge (Mass.), MIT Press, 2013.
[2] http://www.straitstimes.com/opinion/there-is-no-thucydides-trap
[3] https://www.washingtonpost.com/opinions/a-deadly-guessing-game-will-china-and-the-us-find-reason-to-go-to-war/2017/07/07/8a46aa3e-55c6-11e7-b38e-35fd8e0c288f_story.html?utm_term=.a912f989f895
[4] https://www.newyorker.com/magazine/2017/06/19/are-china-and-the-united-states-headed-for-war
[5] http://www.belfercenter.org/thucydides-trap/overview-thucydides-trap
[6] Cfr. soprattutto G. E. M. de Ste. Croix, The Origins of the Peloponnesian War, London, Duckworth, 1972, pp. 50-63; D. Kagan, The Outbreak of the Peloponnesian War, Ithaca (NY), Cornell University Press, 1989, pp. 345-374. Cfr. anche A. Andrewes, Thucydides on the causes of the war, CQ 9 (1959), pp. 223-239; R. Sealey, The causes of the Peloponnesian War, CPh 70 (1975), pp. 89-109; P. J. Rhodes, Thucydides on the Causes of the Peloponnesian War, Hermes 115 (1987), pp. 154-165; G. Parmeggiani, The causes of the Peloponnesian War: Ephorus, Thucydides and their critics, in G. Parmeggiani (a cura di), Between Thucydides and Polybius: the golden age of Greek historiography, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 2014, pp. 115-132.
[7] http://www.belfercenter.org/thucydides-trap/methodology/thucydides-trap-potential-additional-cases. Solo in sette casi, peraltro, l’ambizione e la paura hanno portato alla guerra.
[8] S. Huntington, The Clash of Civilizations?, in «Foreign Affairs» 72.3 (1993), pp. 22-49; Id., The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, New York, Simon & Schuster, 1996.
[9] Nell’ottobre 2016 Allison e Niall Ferguson (Laurence A. Tisch Professor of History alla Harvard University) hanno stilato il manifesto dell’Applied History Project (http://www.belfercenter.org/project/applied-history-project), intitolato, appunto, Establish a White House Council of Historical Advisers Now.
[10] Secondo Arthur Waldron, ad esempio, la ricetta proposta da Allison sia, in realtà, una ricetta per la guerra che rischia di far cadere gli Stati Uniti e il mondo intero in quella che lui chiama “Chamberlain Trap”, dalla linea politica perseguita dal Primo ministro inglese Neville Chamberlain nei confronti della Germania nazista (http://www.straitstimes.com/opinion/there-is-no-thucydides-trap).
[11] Cfr. e.g. M. Sordi, Scontro di blocchi e azione di terze forze nello scoppio della guerra del Peloponneso, in R. N. Lebow, B. Strauss (eds.), Hegemonic Rivalry: From Thucydides to the Nuclear Age, Boulder (CO), Westview Press, 1991, pp. 87-98.
[12] http://www.politico.com/magazine/story/2017/06/21/why-the-white-house-is-reading-greek-history-215287