Relazioni turbolente. Debito, Sovranità ed il Prestatore di ultima istanza.

Andando a consultare la pagine dell’Enciclopedia Treccani, si evince come il Prestatore di ultima istanza non sia altro che, citiamo testuali parole, una istituzione disposta a concedere credito quando nessun altro lo fa.1 Tale funzione, esercitata con particolare attenzione dalle Banche centrali nel corso della storia, si rivela un utile strumento in tempo di crisi, cioè quando il collasso del mercato, imminente o meno, rende necessario un intervento pubblico tramite il suo braccio monetario armato: la Banca centrale.

Generalmente la Banca centrale interviene in caso di problematiche connesse ad una mancanza di liquidità da parte delle banche che può causare il diffondersi di una crisi su larga scala. L’intervento dell’istituto finanziario di Stato diventa così una mossa preventiva, una medicina necessaria ad evitare un contagio pericoloso della crisi: una malattia mortale per l’interconnesso sistema finanziario globale.

Nel complesso possiamo però possiamo parlare di Prestatore di ultima istanza per riferirci ad un ente finanziario capace di erogare un credito, cioè fornire liquidità, anche ad uno Stato incapace di far fronte ed onorare gli impegni presi con i suoi creditori. In nuce: vengono corrisposti aiuti finanziari per permettere allo Stato di non dichiararsi insolvente e continuare a pagare gli interessi, o continuare l’ammortamento, sui debiti contratti.

La funzione sopramenzionata divenne una caratteristica, ad esempio, del Fondo Monetario Internazionale a partire dal Secondo dopoguerra. Il fondo, che chiameremo FMI, iniziò a mutare le proprie regole con le crisi del debito estero che stavano coinvolgendo molti paesi dell’America Latina negli anni ‘80. A partire dal Messico per arrivare all’Argentina, l’FMI agiva sì come Prestatore di ultima istanza, ma in cambio di un piano di riforme a carattere neoliberista. In sostanza veniva usato un sano strumento di intervento, propedeutico ad evitare un contagio della crisi, per imporre un modus operandi tipico del nuovo pensiero economico dominante, neoliberalista e ordoliberalista, presente nei paesi definiti il centro del sistema mondo capitalistico.

Le azioni così intraprese gettarono un’ombra grigia sul ruolo neutrale del FMI. Gli Stati con stringenti difficoltà legate alla sostenibilità e alla gestione del debito pubblico si trovarono sempre più nell’impossibilità di avvalersi del diritto di cancellare o rinegoziare il debito. Tale diritto, ben chiaro nella mente dei legislatori dei paesi creditori del XIX secolo come la Gran Bretagna, venne sempre più abiurato a favore di azioni mirate ad eliminare il rischio di investimento nei titoli di Stato. Il sistema liberista ottocentesco rispettava e riconosceva tali perdite scaturite da un default unilaterale da parte di un Paese sovrano. La politica della cannoniere, elemento anch’esso parte del mondo della belle époque, faceva parte del ventaglio delle azioni a disposizione di uno Stato sovrano se vi era un chiaro interesse politico da difendere.2

Il ruolo come Prestatore di ultima istanza del FMI, che fornisce aiuti in cambio di un piano di riforme strutturali e di liberalizzazioni dell’economia, conferisce un grande vantaggio ai creditori. Imponendo clausole di condizionalità ai prestiti elargiti, cosa non consentita alle banche private sottoscrittici di titoli di debito pubblico di Stati esteri, il Fondo diventa paladino della difesa degli interessi degli investitori.

La grande esposizione finanziaria dei paesi periferici riduce progressivamente gli strumenti di sovranità economica e politica. Ad esempio, più il debito estero di un paese cresce, più suddetto Stato deve fare i conti con gli umori del mercato e dei grandi paesi creditori, specialmente se suddetto debito è denominato in valuta estera. Avere un consistente debito però non è per forza di cose un fatto negativo. Se uno Stato si indebita ad un livello percentuale più basso rispetto alla crescita del proprio Pil, non c’è da preoccuparsi troppo. Inoltre, se uno Stato si indebita internamente, cioè chiedendo prestiti nella propria valuta ai propri cittadini gonfiando il debito domestico, non solo si affievoliscono i rischi di speculazione (chi speculerebbe sulla solidità della propria casa?) ma si opera anche attraverso un processo di ridistribuzione della ricchezza: si prendono a prestito i soldi da chi li possiede per distribuirli, attraverso i servizi pubblici erogati dallo Stato, a tutta la popolazione, anche e soprattutto la parte meno abbiente di essa. Come se non bastasse, e qui l’Italia può dire la sua a partire dagli anni ‘70, si può operare attraverso una politica monetaria espansiva, gonfiando l’inflazione, per ridurre il valore nominale del debito (ovviamente solo se denominato in valuta nazionale).

Viene da sé che lo strumento della politica monetaria sia essenziale per la gestione del debito pubblico, domestico ed estero, di un Paese sovrano, specialmente se pesantemente indebitato. La Banca centrale quindi, essendo sottoposta a delle regole, agirà in caso di crisi solo seguendo delle direttive ben stabilite: essa interverrà solo se i propri statuti ne autorizzano l’intervento. Pertanto la funzionalità della Banca centrale come Prestatore di ultima istanza sarà condizionata al rispetto di un modello economico generalmente imposto da una direttiva politica. Inoltre, e lo abbiamo visto nel recente caso della Grecia attraverso l’azione perpetrata dalla Banca Centrale Europea, l’aiuto offerto è condizionato all’adozione di un chiaro modello di politica economica.

In conclusione, il Prestatore di ultima istanza può essere considerato come uno strumento economico che agisce all’interno di una cornice politica. Le regole di intervento della Banca Centrale, pertanto, non sono neutrali, e per questo capaci di tendere a ridefinire la politica economica dei Paesi che ne chiedono i servigi in momento di crisi.

1 http://www.treccani.it/enciclopedia/prestatore-di-ultima-istanza_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

2 A questo riguardo si possono vedere le dichiarazioni di Lord Parlmenson presso il Parlamento Britannico nel 1848.



È ricercatore presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università degli Studi Roma Tre, dove insegna Storia Economica, Storia del Capitalismo e Geopolitica Economica. Si interessa di finanza pubblica, capitalismo ed imperialismo in età contemporanea specialmente nell'area del Mediterraneo. Le sue ricerche sono state pubblicate sulle riviste scientifiche Oriente Moderno, Eurasian Studies, The Journal of European Economic History e The International History Review. È co-autore del volume: L'Odissea del Debito, le crisi finanziarie in Grecia dal 1821 a oggi (Edibus, 2015) ed autore della monografia: Il Tesoro del Sultano, l'Italia, le Grandi Potenze e le Finanze ottomane 1881-1914 (Textus, 2018).


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