Prendete la parola premier. Nel dibattito pubblico la si usa in continuazione. Non c’è un servizio dei Tg nei quali non si sente dire “il premier Renzi” o, in passato, Letta, Monti, Berlusconi. Il termine vale anche per altri sistemi politici caratterizzati da forme di Stato e di governo diverse dalle nostre. Così apprendiamo che c’è “il premier Tsipras”, “il premier Rajoy”, “il premier Netanyahu” e così via. Tutti chiamati allo stesso modo, tutti allegramente e potentemente premier, a prescindere se lo siano davvero e che differenze reali vi siano tra contesti così diversi.
Che i giornalisti, specialmente italiani, siano approssimativi è noto, così com’è noto che il loro provincialismo li spinga a utilizzare termini stranieri, specialmente anglofoni, perché pensano di rendere il proprio lessico più accattivante, più cool. Niente di male, sia chiaro, a voler rendere più fluente e comprensibile un testo, anche con prestiti stranieri, ma le parole dovrebbero essere usate in modo più appropriato e cosciente. E stupisce che diversi studiosi che collaborano con i quotidiani siano propensi, talvolta, a scivolare in questo uso spensierato dei termini.
Per comprendere l’errore principale del termine premier bisogna andare alle fonti principali, o meglio alla nostra Costituzione. All’articolo 92 leggiamo: “Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.”. Della parola premier nessuna traccia. Dunque in Italia non esiste il premier. Nella nostra Costituzione non appaiono nemmeno espressioni affini come “Primo ministro” o “Capo del governo”, che in genere si usano per riferirsi alla stessa carica. Anzi, se proprio si vuole trovare traccia di queste due formule, bisogna risalire a una delle leggi fascistissime, la numero 2263 del 24 dicembre 1925 recante “attribuzioni a prerogative del capo del governo”. Già all’articolo 1 si può leggere: “Il potere esecutivo è esercitato dal Re per mezzo del suo Governo. Il Governo del Re è costituito dal Primo Ministro Segretario di Stato e dai Ministri Segretari di Stato. Il Primo Ministro è Capo del Governo”.
La differenza essenziale che introduce la Costituzione del 1948 consiste nel rafforzamento della funzione collegiale del consiglio dei ministri e di un ridimensionamento del presidente del consiglio che è un primus inter pares.
Rispetto al vero premier, ossia al capo del Cabinet nel Regno Unito, vi sono ulteriori differenze. Al di là della Manica, il premier, è capo del governo e gode di una maggiore iniziativa legislativa. Potrebbe, secondo alcune interpretazioni, sciogliere anche la Camera dei Comuni; sebbene, in realtà, questo potere è più ridimensionato e consiste, essenzialmente, nella possibilità di scegliere una data a lui più favorevole per far svolgere le elezioni.
I processi di personalizzazione del potere politico e di mediatizzazione della vita pubblica hanno certamente favorito, in Italia, il senso di un rafforzamento del ruolo e dei poteri del presidente del consiglio. Un rafforzamento che si è anche affermato con l’abuso dell’iniziativa legislativa da parte del governo. Ciò potrebbe, in parte, giustificare l’uso della locuzione premier. Eppure, confrontando la situazione attuale, cioè il governo Renzi, con quella inglese, tante cose non coincidono. Intanto il premier inglese è per consuetudine un eletto in parlamento; non è mai accaduto che un politico che non fosse anche rappresentante ascendesse a questo ruolo. Secondo, egli è in genere un politico navigato, che ha una non breve esperienza parlamentare e politica; ciò gli rende maggiori attributi per la sua funzione. Egli è, inoltre, capo di partito, ma in un senso diverso da quello italiano. Da noi un politico vince le primarie, scala il partito, si becca la maggioranza e va al governo. Nel Regno Unito, diventare capo del partito è un’operazione più complessa che richiede mediazioni continue con altri leader e con le organizzazioni collegate al partito. Anche nei casi di leader ritenuti forti, come fu per Margaret Thatcher e per Tony Blair, il legame col partito e la capacità di guidarlo sono essenziali. Venuta meno la guida del partito, viene meno la guida del governo. Nel Regno Unito ciò non è affatto insolito così com’è non è insolito che i governi durino meno delle legislature, che le legislature abbiano più governi e che esse possono sciogliersi anzitempo.
Però, dire premier fa più fico. E allora: viva il premier.
