Ancora poco consapevoli della etimologia e delle origini risalenti ai culti dionisiaci diffuse nell’antichità occidentale, mai come in questi ultimi mesi, il termine ‘oscillante’[1] ci è sembrato il più adatto a indicare fenomeni di provenienza e rilievo assai importanti, presenti in ambiti diversi come quelli relativi a identità soggettive, tendenze disciplinari, analisi politiche, fenomeni socio-economici.
Cosa intendiamo quando utilizziamo vocaboli come ‘lavoro’, ‘sessualità’, ‘scienza’, ‘diritti’, ‘sociale’, ‘politico’, ‘democrazia’, ‘cultura’, ‘natura’, e via dicendo? Questi e molti altri, sono alcuni dei termini il cui significato, nel tentativo di afferrare accuratamente l’argomento che sta a cuore in un certo momento, appare sempre più sfuggente e confuso. Di giorno in giorno – nella chiacchiera quotidiana come nell’interpretazione meditata e colta – si delinea un orizzonte nel quale le parole mostrano una crescente resistenza a essere ancorate una volta per tutte a un’accezione unica e permanente. Ci troviamo continuamente a dover chiarire i molteplici continui e imprevedibili cambiamenti che sorgono a un ritmo difficile da assecondare, diffusi epidemicamente in molti campi della riflessione contemporanea. Nessuno si sente al sicuro quando deve spiegare di cosa sta parlando.
Per offrire esempi eclatanti, pensiamo soltanto ai dibattiti sulla maternità surrogata, sulle unioni civili, i generi sessuali, il lavoro precario e autonomo; ma anche sulla costituzione, l’interdisciplina, l’identità europea, ecc. Di tutto questo si scrive con finta autorevolezza su settimanali e mensili, supplementi straordinari nei quotidiani e reti sociali; se ne parla alla radio, TV, nei dibattiti parlamentari; diventa centrale nelle ricerche specialistiche e argomento protagonista di recenti serie televisive. D’altro lato, si fatica a riconoscere la crescente difficoltà per esporre tutti questi argomenti, e le parole chiave che meglio li rappresentano, con la concisa precisione delle definizioni da vocabolario che una volta sembravano sufficienti a mitigare ignoranza e approssimazione.
Al cuore delle oscillazioni si intravvede quanto profondo sia il sussulto che scuote certezze inconfutabili, garantite, evidenti, mentre si apre uno spazio dove spunta il profilo emergente di nuove forme dai contorni (ancora) indeterminati.
Non si tratta di passaggi e trasformazioni indolori. La scomparsa delle etichette identitarie apparentemente robuste del passato non si è risolta nella introduzione di nuovi soggetti altrettanto solidi e credibili. Le figure più recenti sembrano piuttosto esprimere i tratti della provvisorietà: una permanente instabilità attraversa tutti gli strati sociali e un alone di incertezza si sparge sul paesaggio intorno e anima l’immaginario culturale dei territori che abitiamo. Mutamenti e trasformazioni sono ormai al centro di una scena che si ha difficoltà a definire perché di continuo cangiante; fotografia perennemente sfocata e perciò povera di connotati regolari, ma ricca di manifestazioni e di possibilità ancora da esplorare. Ciascuna/o prova una sensazione di non-appartenenza e di profonda solitudine, di esistere come in un perenne equilibrio ingannevole.
Da una parte si assiste all’emergere dell’individuo solitario, imprenditore di se stesso ma sprovvisto di quelle forme di sicurezza, associazionismo e cooperazione tipiche del periodo precedente alla cosiddetta globalizzazione e ai suoi effetti devastanti sul piano politico ed economico; dall’altra sono intervenute nuove figure sociali insieme a tante modalità diverse con cui si esprimono le soggettività contemporanee. Si pensi alle nuove professioni sorte intorno alla tecnologia informatica, alla variopinta visibilità di forme, manifestazioni e acquisizioni di sessualità differenziate, che hanno dato il via a modalità originali di aggregazione e partecipazione di cui i social network sono l’espressione più nota. A una prima analisi, questi ultimi sembrano andare in controtendenza al generale andamento verso la individualizzazione e frammentazione, rivelando una singolare e inedita capacità aggregativa e organizzativa che giunge fino alle soglie della rappresentanza parlamentare e istituzionale.
Sono ormai moltissime le possibili traiettorie da seguire al fine di scorgere una parte degli infiniti ‘frattali’ presenti nella nostra esistenza quotidiana, lungo le quali ci accorgiamo di come – rispetto alle descrizioni di occupazioni un tempo considerate relativamente solide (biologa, idraulico, modista, avvocato, maestra) – si è sostituita una grande quantità di quelli che un tempo erano meri aggettivi, e oggi sono invece segnali utili a fornire nuove definizioni, transitorie ma sufficienti a descrivere un’attività retribuita più o meno bene, una vocazione, un’etichetta identitaria, una tendenza; blogger, escort, sdraiato, stagista, queer, follower, clandestina … Sono i soggetti che abitano società mutevoli e vacillanti, come stessero in bilico su una terra esposta a improvvisi movimenti tellurici. Le cronache quotidiane di massacri a est e a ovest del pianeta, in situazione di guerra o di pace – una distinzione quest’ultima che sta pericolosamente anch’essa acquistando tonalità scolorite – rafforzano tale sensazione.
Secondo l’etimologia latina ripresa dalla scheda di Wikipedia posta in esergo, la tradizione dell’oscillum che ondeggia al vento suggerisce un campo semantico della parola riferito ad aspetti variegati relativi al volto, all’erotismo, alla doppiezza, alla sfera famigliare come a quella pubblica, alla rappresentazione. Abbiamo cercato di tener conto di se e come sia possibile riuscire a distinguerli.
I contributi inclusi in questa sezione della rivista affrontano diversi aspetti di una ricca, per quanto ancora poco esplorata, galleria di figure; le quali, per riprendere quanto Bice Mortara Garavelli scrive a proposito del discorso, sono paragonabili a quelle geometriche e si presentano con una struttura regolare: “forme astratte, esemplari, a cui possiamo ricondurre i lineamenti e le raffigurazioni degli oggetti più disparati”. Affini alle figure della danza e della ginnastica, si tratta di “forme disegnate da immagini in movimento, riconoscibili perché eseguite secondo regole precise, benché con innumerevoli variazioni stilistiche.”[2]
Sebbene le situazioni di pericolosità siano più diffuse di prima, moltiplicate all’infinito dalle innovazioni dell’informatica e dai nuovi media, l’immobilità autorevole delle antiche certezze è da tempo una scelta palesemente impraticabile; sarebbe come impedirsi l’accesso alla conoscenza del presente, e non solo. Ciò che si spalanca davanti ai nostri occhi non è l’assenza di verità ultime, evidenziato dalle oscillazioni, ma il suo contrario: l’abissale tragitto che porta alle mostruose strategie distruttive del neoliberalismo occidentale e alle sue guerre di civilizzazione, alle crociate razziste, le barriere neocoloniali, i totalitarismi. Viviamo ancora in mezzo alle guerre avviate dai Bush, appoggiate da Blair, degenerate nelle più recenti affermazioni di Trump; accompagnate dai gemiti anglo-agonizzanti della Brexit, e dal fascismo trionfante di Erdogan a fronte di una Europa ripiegata e muta.
Anziché mettere in guardia contro i rischi di rottura, tentennamento e indecisione, la maggior parte degli articoli qui riuniti si soffermano ad analizzare potenziali aperture che provengono da quanto è ancora ignoto; sulle risorse inedite offerte dalle transizioni, dalle instabilità, i pendolarismi, le ibridazioni.
Così ci dicono le istanze politiche derivate dalla mobilitazioni delle travestite e transessuali nella testimonianza della militante argentina sui diritti umani Lohana Berkins; insieme a quelle teoriche di chi, come Beatriz/Paul Preciado, sfida la visione mistica sulla ‘naturalità’ dei corpi, esaminata dal contributo di Liliana Ellena. Per conto suo, Federica Castelli scrive sui corpi in pubblico, sull’esistere umano in quanto corpi incarnati, esposti e vulnerabili ma al contempo indispensabile mezzo di affermazione politica. Un’indagine sulla complessa realtà del cosiddetto lavoro autonomo e del precariato cognitivo nell’età postfordista, suggerisce Barbara Imbergamo, sarebbe poco credibile al di fuori di una analisi sui fondamenti illusori dei miti neo-liberali che alimentano l’attuale smantellamento delle politiche welfare; un panorama, suggerisce Francesca Bettio, governato dalla transitorietà dei flussi di reddito accompagnata da una staticità di condizione identitaria, dove modalità antiche e nuove – il lavoro a cottimo accanto alle tecnologie informatiche – convivono e si alternano con risultati che occorre continuare ad approfondire. Sul lavoro si sofferma anche il saggio di Olivia Fiorilli, che offre una prospettiva teorica queer centrata sulle soggettività emergenti, trasgressive rispetto alle nuove conformazioni normative del biocapitalismo e alle sue promesse di riconoscimento. Al lavoro, questa volta inteso come non finalizzato ad alcun profitto, è dedicato il racconto di Marco Pustianaz intorno all’esperienza di teatro trans-linguistico portata avanti insieme a studenti in Piemonte e in altri paesi europei, che riesce a imporsi all’interno di uno spazio universitario ormai ridotto a sistema bancario di crediti e debiti. Sul piano di una storia culturale interessata alla comparazione e alle ibridazioni disciplinari, Massimo Fusillo offre esempi (tratti da Eschilo, Sebald, Choderlos de Laclos, Stephen Frears) di come la letteratura – settore al presente marginale tra i saperi ‘che contano’ – sia diventata un fenomeno transeunte, sparsa tra una molteplicità di territori e linguaggi, dal cinema al romanzo e alle arti visuali in genere. L’attività multiforme della regista e performer Agnés Varda, su cui scrive Paola Di Cori, mostra come si possa esercitare con successo una pratica degli interstizi – tra cinema, fotografia, arti – e insieme proporre fondamentali istanze etiche, di critica alle diseguaglianze e all’anonimato dominanti. Last but not least, il contributo di Giancarlo Santone e Maria Luisa Pulito affronta un tema essenziale della nostra contemporaneità – quello delle migrazioni forzate – e denuncia lo stato inadeguato dell’accoglienza sul piano dei diritti, delle condizioni sanitarie e della salute mentale dei migranti. Aspetti che riguardano non soltanto la loro condizione umana, ma soprattutto la nostra.
[1] “L’oscillum (diminutivo del termine latino osculum, a sua volta derivato da os, per “volto”) era un tipo di piccola scultura, rappresentante una testa, che in epoca romana veniva appesa come dono votivo alle fronde degli alberi in occasione di alcune feste, come le sementivae faeriae, o feste della semina, o nelle paganalia, feste dei pagi, o villaggi di campagna, in particolare in onore del dio Bacco.
Durante i Compitalia, feste in onore dei Lari, venivano appese figurine in legno che rappresentavano gli schiavi e i bambini della famiglia.
In seguito divennero decorazioni utilizzate negli interni delle case o nei giardini e si trovano anche in forma di piccoli dischi a rilievo, o anche di piccole placche rettangolari, scolpiti su entrambi i lati. Sono in genere in pietra o in terracotta, ma se ne conoscono anche in pasta vitrea.
Sono talvolta rappresentati, insieme ad altre sculture decorative, negli affreschi che raffigurano giardini. Vi venivano raffigurate scene o figure mitologiche o di genere. Poiché oscillavano al vento, dal nome dell’oggetto è derivato il verbo latino oscillare, dal quale deriva il corrispondente italiano.” Da Wikipedia
[2] Bice Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma, Laterza, 2010, p. 3.
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