Prendete la parola leadership. La sentiamo spessissimo oggi pronunciare in ambito politico, ma anche in altri più vari, come quello sportivo. Il termine, in senso più specialistico, viene utilizzato da molte discipline come la sociologia, la politologia, la psicologia, l’antropologia, l’economia. Ciò ha moltiplicato le definizioni che, come ricorda Joseph S. Nye nel volume Leadership e potere, dagli anni Venti agli anni Novanta del Novecento erano 221. Nel senso comune, leadership viene immediatamente associato a un solo leader, al capo solo al comando. Ma è proprio così?
Per rispondere è opportuno richiamare la definizione, importata dall’Oxford English dictionary, che il sociologo Luciano Cavalli fornisce nell’Enciclopedia delle scienze sociali della Treccani. Attingere alla fonte della lingua inglese è essenziale visto che leadership deriva dal verbo inglese to lead che significa appunto guidare, condurre, e che ha un antenato nel termine latino “ducere” da cui “duce”.
Scrive Cavalli che il termine leadership indica vari elementi. In primo luogo esso identifica «la dignità, l’ufficio o la posizione di leader»; in questo caso la leadership è, per esempio, una carica, come la presidenza del consiglio, ma anche in ciascun ministero c’è un ufficio di leadership che è quello del ministro. In secondo luogo, leadership indica «la posizione di un gruppo di persone che guidano o influenzano altri entro un determinato contesto». Qui si fa riferimento a una posizione, a un ruolo sociale, a una funzione vera e propria che viene ricoperta da persone. La terza definizione indica con leadership «il gruppo di cui al punto precedente». Come si vede, compaiono le persone in carne ed ossa, gli individui sociali, che ricoprono un ufficio di leadership e hanno una posizione di leadership. Essi sono cioè i leader. Attenzione, questa terza definizione evidenzia che, anche quando riferita a persone, non per forza di cose deve trattarsi di una sola; può, infatti, essere anche un gruppo di persone tant’è che, sottolinea Cavalli, questa definizione «ha il merito di richiamare l’attenzione anche sulla distinzione tra leadership collegiale e leadership individuale». La leadership, perciò, può indicare un gruppo di persone e ciascuna di esse è un leader. Per questo motivo, quando si sente parlare, per esempio, di leadership di partito, non si deve pensare immediatamente al capo al comando, al segretario, ma sarebbe più opportuno pensare al gruppo dirigente, all’élite, all’insieme di persone che guidano il partito.
Vi è poi una quarta definizione di leadership che si riferisce all’ «l’azione o influenza necessaria per dirigere o organizzare lo sforzo (comune) in un’intrapresa di carattere collettivo». Questa definizione indica l’attività che occorre porre in essere nel ruolo di leadership. Infine, la quinta definizione secondo la quale la leadership è «la capacità stessa di guidare altri (to lead)». Qui siamo a un attributo, a una caratteristica personale che qualcuno può avere, in determinati contesti, a svolgere un ruolo di leadership. Come si vede «i primi due significati si riferiscono a dei ruoli sociali, staticamente considerati, il terzo invece agli occupanti di quei ruoli come gruppo, il che rientra principalmente nello studio delle élites e della classe dirigente. Gli ultimi due significati introducono invece all’ambito di senso entro il quale si sono generalmente mossi gli studiosi della leadership e i tentativi stessi di definirla per fini scientifici».
In riferimento all’ultima definizione, occorre tenere a mente che le caratteristiche di chi “ha leadership” non sono date a priori ma il più delle volte è una situazione sociale a farle emergere. Per fare un esempio classico, senza la Seconda guerra mondiale non ci sarebbe stato Churchill. Ma gli esempi possono essere tanti altri. Rimanendo in tema di guerra, senza la Prima guerra mondiale non ci sarebbe stata la Rivoluzione d’Ottobre e nemmeno Lenin. Non solo. Spesso si è soliti pensare che il leader debba essere una persona potente, forte, spregiudicata; tuttavia, esistono grandissimi leader che avevano un carattere mite, timido. Si pensi a Gandhi, uno dei leader più importanti del Novecento. Fin da ragazzo aveva soggezione di parlare in pubblico; una volta divenuto avvocato, alla sua prima apparizione in tribunale, al momento di prendere la parola, svenne e dovette risarcire il suo assistito. Ciò, però, non gli impedì di diventare il simbolo dell’indipendenza indiana e una grande figura carismatica. La sua era una forza interiore che le circostanze hanno fatto venir fuori. Leader non si nasce, si diventa.
A questo punto è opportuno introdurre, brevemente, il concetto di leader. Riportando sempre Cavalli, «Leader è one who leads in tutti i significati del verbo inglese, il più generale dei quali è to cause to go along with oneself, cioè ‘farsi seguire’, mentre uno dei più specifici è to govern, governare. (…) Il concetto di leader esige come complemento quello di follower, ‘colui che segue’; e ciò già impone una riflessione sull’essenza stessa della leadership come “azione o influenza” esercitata e sulla natura stessa del rapporto tra leader e follower».
La leadership è perciò sempre una relazione, un rapporto sociale asimmetrico, di potere, verticale, che crea una gerarchia tra chi guida e chi segue. E il vero leader non è un capo arrogante, gradasso, prepotente, che si spaccia come tale. Il vero leader viene fuori dal contesto storico e solo dimostrando grandi doti si potrà dire di lui che era adatto alla leadership.
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