Aveva festeggiato presso la nostra associazione i suoi 70 anni in occasione del decennale di Ἀgalma , la rivista da lui diretta alla quale ci siamo spesso ispirati. Faceva parte del nostro comitato scientifico e tanti sono stati i consigli e i suggerimenti preziosi.
L’ironia e l’arte di spiazzare erano un segno della sua presenza così come la sua bella risata che ritmava incontri e lunghe chiacchierate. Ogni volta un détournement, un andare alla deriva ma anche un ritrovare un centro in luoghi reali o immaginari, un insegnamento sulla pratica dell’intellettuale, su come leggere i fenomeni e interpretare la storia della filosofia.
Il libro che lo ha fatto conoscere ai più è sicuramente “Il sex appeal dell’inorganico” mentre per me, rivelatore del suo genio, è stato “La società dei simulacri”, rivisitazione di un concetto per lui fondamentale, per cui aveva addirittura litigato con Baudrillard. Solo alla luce di questo vecchio volume, ripubblicato qualche anno fa sulla sua bella rivista, si possono a mio avviso riunire, come tanti tasselli, opere spiazzanti e apparentemente distanti nella materia e nel tempo come “L’arte e la sua ombra”, “Del sentire cattolico”, “Contro la comunicazione”, “Miracoli e traumi della comunicazione”, “Berlusconi o il ’68 realizzato”, “Del terrorismo come una delle belle arti”.
Pur essendosi formato a Torino con Pareyson e pur avendo ricevuto un importante riconoscimento a Parigi da Debord, sceglierà la Roma barocca e le sue rovine come città elettiva apprezzandone il lato più politeista e pagano. Non a caso, come mi confessò in più occasioni, amava profondamente città e culture diverse come quelle del Brasile e del Giappone perché ‘antiche’, animate da religioni sincretiste e quindi tolleranti, l’una più cordiale e l’altra più cortese ma comunque entrambe gentili e rispettose della diversità.
Leggere il sacro attraverso il pagano, studiare i politeismi e scansare le ortodossie, amare il rito più che il mito, spiegano al meglio, a mio avviso, il suo modo di intendere la funzione positiva del simulacro che, attraverso la sovrapposizione netta e misurata dei piani , come lenti focali di un cannocchiale o di un microscopio, gli consentiva una lettura del reale assai più penetrante di qualsiasi analisi ad ampio raggio.
Credo che Mario abbia usato il mondo sovrapponendolo, demistificando la cultura acclamata e i ‘fatti storici’ su cui è seduta a vantaggio di angolature prospettiche e temporali del tutto deflagranti, ma senza cedere il passo al postmoderno, perché un’idea di mondi altri, diversi ma concretamente possibili, anzi già esistiti, la sapeva indicare sempre.
La sua curiosità, il sostegno, il confronto e l’amicizia ci mancheranno moltissimo.
'Mario Perniola, un grande filosofo di estetica, ieri ci ha lasciato.' has no comments
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