Abstract
Il labirinto della Sapienza
Giorgio Colli ha lasciato un’impronta indelebile sulla cultura italiana contemporanea. Ma se il suo lavoro di filosofo, studioso, filologo, editore è molto noto, meno noto è il fatto che egli sia stato anche poeta. Da questo punto di vista, la grande raccolta di quaderni postumi intitolata “La ragione errabonda”, riserva delle autentiche sorprese, delle vere e proprie perle. In questo materiale abbiamo scelto quelle liriche che hanno maggiori risonanze nella sua opera filosofica, individuando quattro grandi ambiti tematici: Platone, Alessandro Magno, Goethe, Nietzsche. Si tratta di quattro momenti cruciali, di quattro stazioni sul cammino dello spirito e della storia europei, che il pensiero e l’espressione vibrante di Colli rendono unici. I primi due appartengono a due momenti culminanti del pensiero e della storia antiche, gli altri a due snodi fondamentali della cultura moderna e contemporanea. Senza pretese di esaustività, è possibile dire che le liriche di Colli ci trasmettono un’idea della cultura occidentale, considerata in alcuni dei suoi momenti cruciali.
The Labyrinth of Knowledge
Giorgio Colli has left an indelible mark on contemporary Italian culture. His work as a philosopher, scholar, philologist and editor is well known, the fact that he was a poet, is little known, though. From this point of view, the huge collection of posthumous notebooks, entitled “Itinerant Reason”, is an authentic surprise and contains some exquisite verse. As our subject, we have chosen the poems closest to his philosophical writings, and among these four main themes: Plato, Alexander the Great, Goethe and Nietzsche. It deals with four crucial moments in European intellect and History which through Colli’s approach and vibrant exposition are presented as quite unique. The first two cover two decisive phases in Ancient Thought and History; the other two are fundamental turning points in Modern and Contemporary Culture. We make no claim to an exhaustive study, but we may say that Colli’s poetry transmits an idea of Western culture undergoing several crucial moments.
Le poesie di Colli in «La ragione errabonda»
Per chi ascolta non me, bensì l’espressione,
sapienza è riconoscere che tutte le cose sono
una sola.
Eraclito
Riflettere sulla tradizione europea, sul suo grande passato, che è anche il nostro, appare oggi più cruciale che mai. La sensazione, infatti, è di entrare in un’epoca post-storica che, sulla spinta della rete, dei social-network, di una scienza mai tanto forte e all’avanguardia, di una tecnica divenuta purtroppo signora e distruttrice della natura, ha smarrito completamente il senso di sé, secondo la definizione di Nietzsche, per cui il nichilismo è quel processo in cui «i valori supremi si svalutano»1.
Se l’umanesimo europeo e, più in generale, ogni grande cultura umana, si pensi all’Oriente, si caratterizza per la volontà di costruire il futuro attraverso un rapporto, forte o debole non importa, con la tradizione, è possibile dire che il rischio attuale sia proprio quello di smarrire qualsiasi contatto con la sorgente viva del nostro passato. Tra le cose mirabili che il novecento italiano ha prodotto, è possibile dire che un grande studioso, filosofo, intellettuale come Giorgio Colli, abbia, attraverso l’intensità vibrante del suo pensiero, mantenuto un rapporto fecondo con la tradizione. La ragione di continuare a riflettere sull’opera di Colli sta in questo: non potendo riflettere direttamente sull’origine profonda della cultura europea, la Grecia arcaica classica ed ellenistica, senza il rischio della dispersione, Colli ci permette un accesso a questo ambito attraverso un approccio eterodosso, ma inflessibile sul piano metodologico, e di estrema efficacia spirituale.
Nel complesso della sua opera, filosofica, filologica ed editoriale, ci sono nuclei e prove poetiche di straordinaria intensità. Esse si trovano all’interno di La ragione errabonda, la grande raccolta di Quaderni postumi uscita nel 1982 a cura del figlio Enrico – Colli si era spento prematuramente nel 1979, lasciando la straordinaria edizione di La sapienza greca al terzo volume, rispetto agli undici previsti – che è il laboratorio speculativo di questo incredibile filosofo e studioso. Oltre ai temi, spesso privati e personali, senza di cui non c’è lirica che si rispetti, i nomi di Platone, Nietzsche, Goethe, si affacciano in poesie di straordinaria intensità lirica e penetrazione critica. Oltre ad esse, troviamo un abbozzo di tragedia dedicata alla morte di Alessandro Magno, che poteva essere scritto solo da chi, a poco più di trent’anni, compose La natura ama nascondersi (1948).
All’insegna di una riflessione storico-mistica e storico-esoterica grandiosa, le poesie di Colli offrono uno sguardo unico su alcuni momenti cruciali della cultura europea, su cui è fondamentale, proprio in un momento di smarrimento identitario e spirituale come il nostro, continuare a riflettere. Del resto, l’idea che il cuore profondo di quella grande esperienza che, nella storia della cultura umana, ha nome Europa, si trovi all’incrocio della filosofia con la poesia, era stata di Heidegger come di Benjamin, di Adorno come di Arendt.
- Rapporti con la sfinge
Tra le liriche di Colli su cui ci soffermeremo, la prima, anche cronologicamente, è dedicata a Platone ed è del 1954. ΦΥΣΙΣ ΚΡΥΠΤΕΣΘΑΙ ΦΙΛΕΙ. La natura ama nascondersi era uscito nel 1948 ed era il risultato di un percorso scientifico e di studio iniziato per Colli molti anni prima, con lo studio Lo sviluppo del pensiero politico di Platone uscito nella Nuova rivista storica nel 1939 e con la tesi di laurea intitolata Politicità ellenica e Platone discussa nel 1939 con Gioele Solari2. Ciò che interessa, criticamente, al nostro discorso, è rilevare come, dopo la tesi, l’interesse per il Platone politico viene meno e non si riaffaccerà più nella successiva produzione.
Ma l’interesse per Platone tout court fu, per Colli, sempre molto forte. Importante ricordare come, negli anni della stesura della poesia, Colli stesse lavorando all’edizione dell’Organon di Aristotele che uscirà, aprendo la collana “Classici della filosofia” di Einaudi, nel 1955.
Il Platone di La natura ama nascondersi è quello dei grandi dialoghi a cavallo tra la gioventù e la maturità, appena superata la fase strettamente socratica. Non a caso il capitolo IX, tra i più straordinari ed interessanti di un’opera dall’intensità eccezionale, è intitolato alla gioventù di Platone ed è dedicato, rispettivamente, al Fedone, al Fedro e al Simposio. Il successivo, intitolato Spegnersi di un mondo, è dedicato al Parmenide3e alla VII Lettera. Non apparirà superfluo, per entrare nel mondo speculativo di Colli, ricordare che l’opera è dedicata alla memoria di Nietzsche e che l’incipit suona: «Bello, senza riserve, è l’amore della verità»4. Ovvio, allora, che il Platone di Colli sia molto diverso dal pensatore razionale e bene ordinato che ci viene presentato dalla linea accademica e filologica ufficiale e il contrasto di Colli con gli storici della filosofia antica e la filologia ufficiale fu sempre molto netto5. Vale la pena, allora, ascoltare l’incipit del capitolo La gioventù di Platone di La natura ama nascondersi:
Atene è caduta, Socrate e i grandi tragici morti, Aristofane in declino: va un mondo il cui fragilissimo e incredibile equilibrio è durato sin troppo. I simposi di Agatone non sono più possibili, e Platone è solo, cosciente di questa fine e con il rimpianto del passato. Il decennio che segue il 399 vede l’ultimo tentativo di sopravvivere della vecchia filosofia. Platone lotta come un eroe e vive mirabilmente prima di arrendersi. L’irraggiungibile concretezza di questi anni decisivi può essere intravista con la scelta e l’analisi dei suoi riflessi espressivi nei passi nevralgici degli scritti giovanili6.
Lo scenario – e ora vedremo perché si tratti anche di scenario – il quadro ermeneutico ed interpretativo della poesia del 1954, contenuta in La ragione errabonda ed intitolata Platone, non cambia molto rispetto a questa prospettazione. La poesia è del 17 novembre 1954 e suona:
Le albe sognanti del Pireo
arrossiscono per la tua tristezza:
dormono i fanciulli
troppo stanchi per lottare…
I flauti tacciono ormai.
Sul mare grigio le triremi
si muovono lente:
c’è la guerra sull’Istmo…7
In questa rievocazione storica, lirica, misterica ed esoterica che non apparrà eccessivo definire grandiosa, le albe del Pireo arrossiscono per la tristezza di Platone. Ecco perché è centrale qui lo scenario, ossia l’immagine. Verrebbe da dire che nei grandi testo storico-critici di esegesi del mondo greco, il ruolo delle immagini non sia sempre presente nel modo dovuto, soprattutto in quelli di carattere filosofico. Non solo le grandi immagini dell’arte e dell’architettura greca, ma il paesaggio, più spesso8. Quello del Pireo, in questo caso. Quasi che i luoghi e i paesaggi della Grecia conoscano la grandezza degli uomini che li hanno abitati, le albe del Pireo – il famoso porto di Atene voluto da Temistocle all’epoca delle Guerre persiane9 – partecipano empaticamente della tristezza del filosofo, per il tramonto e la scomparsa del vecchio mondo che, in realtà, di sussulti di grandezza ne avrà ancora molti, con Aristotele ed Alessandro, ma anche in numerosi esempi della tarda antichità. Ma, ciò che Colli vuole dirci è, appunto, che si trattò di sussulti, non di quella autentica grandezza che apparteneva, per lui, solo all’epoca dei sapienti e che, proprio con Platone, si conclude.I fanciulli erano stanchi per lottare, già allora. I flauti dei grandi simposi e delle iniziazioni misteriche ormai tacciono e le guerre che, in successione, metteranno fine alla grandiosa esperienza politica delle poleis greche sono già in corso da quando Platone è nato.
- Ultimo canto del Macedone
In una ricerca estremamente rigorosa, come quella di Colli, non c’era spazio che per i suoi temi: i sapienti della Grecia arcaica, Eraclito, Parmenide ed Empedocle, in particolar modo; Platone, come abbiamo visto; tra i contemporanei, Schopenhauer e Nietzsche, di cui Colli e Mazzino Montinari hanno dato l’edizione storico-critica delle opere che è quella, in qualche modo, definitiva, curando anche il testo tedesco, oltreché l’italiano, il francese, il giapponese. Un’altra parte della sua attività fu, come abbiamo accennato, un’edizione integrale dell’Organon di Aristotele – e il lavoro alla logica aristotelica è ben presente e visibile nei quaderni di La ragione errabonda – uscita in prima edizione per Einaudi nel 1955, nonché un’edizione della Kritik der reinen Vernunft di Kant, uscita nel 1957, che presenta, in modo sinottico, le due edizioni, profondamente differenti, del 1781 e del 1787, che tanto peso avranno nella ricezione del pensiero di Kant10. Da sottolineare come, il confronto con Aristotele e Kant preceda Filosofia dell’espressione del 1969, il capolavoro teoretico di Colli11. Nel 1974 uscirà Dopo Nietzsche e nel 1975 La nascita della filosofia. Oltre a ciò, resta da ricordare solo l’Enciclopedia di autori classici uscita per Boringhieri a cura di Colli, tra gli anni ’50 e ’60, più vasto lavoro editoriale e di riflessione sui classici della cultura e del pensiero europei12. Poi la grande stagione finale di La sapienza greca, rimasta incompiuta al terzo volume, dedicato ad Eraclito13.
Naturale, dunque, che lo spazio per altri temi sia scarso. Il nome di Alessandro ricorre, ad esempio, in una riflessione di Dopo Nietzsche – l’altro grande libro teoretico di Colli del 1974 – dedicata al cinismo, in relazione all’episodio di Alessandro e Diogene ed intitolata Falsi idoli. Viceversa, La ragione errabonda contiene «un abbozzo di tragedia sulla morte di Alessandro Magno»14, scritta tra il luglio e l’agosto 1964, che ha dell’incredibile.
La difficoltà, per ciò che concerne lo studio e la comprensione del mondo antico in termini generali, consiste, da un lato, nella grande distanza temporale che ci separa da esso, dall’altro, come sua conseguenza, di tutte le cose, testimonianza letterarie e di altro tipo, che sono da allora andate perdute. Paradigmatico il caso costituito dalla tomba di Alessandro, vero e proprio enigma dell’archeologia e della storia della cultura. Il grande talento di Colli è consistito nel restituire agli antichi, ai sapienti in modo particolare, il loro tono, l’atmosfera autentica, la pregnanza delle loro parole, sulla scia del giovane Nietzsche della Geburt der Tragödie (1872)15. La preziosità e la ricchezza di questo abbozzo poetico, di questo tentativo di tragedia sulla morte del grande Macedone, sta in ciò: nella capacità di restituirci, per immedesimazione16 con lo spirito del tempo, il colore e il sapore di una grande vicenda storica in cui non c’è niente di scontato.
Cominciamo ad inoltrarci, allora, in queste sei pagine di rara bellezza:
Ares infiamma il mio sangue
distillando immagini convulse17
In questo incipit, si dichiara subito l’esperienza decisiva della vita di Alessandro: la guerra. Dopo alcuni versi, prosegue Colli:
Piombo fuso è l’acqua dell’Eufrate
si tuffa il sole nel fiume
fugge la luce dal mio sguardo18
L’altra grande esperienza della vita del Macedone è l’Asia, la sua conquista, ma anche la sua conoscenza. Alla fine di questo primo frammento, il Coro dice: «Ride folle l’eroe / il dio ha rapito la sua mente»19. Alessandro è sul suo letto di morte a Babilonia e ricorda, siamo nel 323 a. C. Ricorda undici anni di campagne incredibili, che lo hanno portato alla conquista dell’Impero persiano, che lo hanno condotto ad essere il signore incontrastato di tutto il mondo medio-orientale. Implacabilmente il Coro rileva il decadere delle sue forze fisiche e mentali.
Nel terzo e nel quarto di questi frammenti poetici, troviamo enucleati alcuni aspetti cruciali di quell’esperienza unica che, nella cultura occidentale, corrisponde al nome di Alessandro. Scrive Colli:
Quello che ho visto morirà con me….[…]
Ho giocato con la vita dell’uomo
e porto sul mio rogo
la vita dell’Ellade
– odio i posteri, con disprezzo
dono loro l’Asia, con la sua angoscia
senza fine,
per me prendo la luce violetta degli dèi greci […].
Di me vaghe cose sapranno
gli uomini futuri,
guerre senza grandezza
taglieranno il filo del ricordo
vivente […]
Troppo rapida è giunta la sera
dopo il giorno di ebbrezza
che ci ha concesso il dio20.
Questi versi configurano l’esperienza del Macedone come un’esperienza totale, irripetibile. Alessandro è sì il modello del potente, come ci appare ad esempio dalle analisi di Masse und Macht (1960) di Elias Canetti: ha amato giocare con gli uomini e ha, per i posteri, solo disprezzo. Ma è anche colui che ha condotto la grecità al suo culmine. «Il grande Alessandro ha chiuso la vendemmia / ha reciso l’ultimo grappolo / nella vigna dell’Ellade»21, dirà Colli più avanti. Egli sceglie la luce violetta degli dèi, piuttosto che i territori sconfinati dell’Asia. Eppure, noi di lui, sapremo poche cose: il filo del ricordo vivente si è interrotto, come prima si accennava. La sera, del resto, è giunta troppo rapida, anche per questa grandiosa esperienza umana.
Ma è il rapporto tra parola e arma, tra filosofia e guerra, a dominare nella sua vita: il rapporto con Aristotele. Scrive Colli:
Non è la spada l’arma più forte
di Nike – più forte è la parola,
il dardo appuntito
della città di Atena,
con cui cercò di irretirmi
il giocoliere astuto di Stagira22.
C’è bisogno di dire chi sia l’uomo di Stagira che compare in questi versi? E quale sia la sua forza, quale il suo peso sull’intera tradizione occidentale? La forza di chi veniva dalla scuola diretta di Platone, allo stesso modo in cui Platone veniva da quella di Socrate? Racconta Droysen, lo storico tedesco dell’Ottocento, allievo di Hegel e fondatore della categoria storico-epocale di ellenismo23 che, nel momento storico decisivo, in cui Filippo individuò in Aristotele il possibile precettore del figlio, gli scrisse queste parole: «ciò che mi riempie di gioia non è già che sia nato, ma che sia nato nell’epoca in cui tu vivi. Istruito e formato dalle tue cure, sarà degno di noi e potrà attuare la missione che gli affiderò un giorno»24.
Eppure – anche per chi ha incarnato in maniera straordinaria il senso di questa esperienza terrena, anche per chi, come dice il Coro nell’ottavo frammento di questo straordinario abbozzo di tragedia, ha portato «la parola greca / sui monti dell’Ircania / e lungo le spiagge indiane»25 – giunge, inesorabile, la fine. Il bilancio è, in ogni caso, straordinario: «Il grande Alessandro ha chiuso la vendemmia / ha reciso l’ultimo grappolo / nella vigna dell’Ellade»26.
- Ambiguità olimpiche
Nello stesso quaderno contenente l’abbozzo di tragedia dedicato alla morte di Alessandro Magno, su cui ci siamo appena soffermati, si trova anche una poesia intitolata Goethe, che appartiene allo stesso periodo, agosto del 1964.Il nume di Weimar, vissuto a cavallo tra l’epoca moderna e quella contemporanea, a cavallo tra Rivoluzione francese e Rivoluzione industriale, è uno snodo ineludibile, un enigma e un conforto, al di là dei due opposti partiti degli innamorati e dei detrattori. A cavallo tra due mondi, egli è, in ogni caso, l’arbitro di tutto ciò che, nell’ambito dello spirito europeo ed occidentale, vuole anche solo avvicinarsi alla parola cultura.
Tutta la grande cultura tedesca ed europea degli ultimi due secoli, intrattiene con Goethe un rapporto profondo: Hegel, Hölderlin, Schiller e Schopenhauer, che lo conobbero anche personalmente; Nietzsche, Thomas Mann27, Benedetto Croce, che dedicò a Goethe una monografia uscita nel 1919; Kraus, Benjamin – che dedicò alle Affinità elettive uno dei suoi saggi più superlativi – Adorno, Elias Canetti; soltanto Heidegger gli rimase freddo e distante, poiché concepiva la posizione umanistica di Goethe come connotata in senso metafisico. A questo proposito, non deve essere dimenticato come, nelle Canzoni del principe Vogelfrei che chiudono la La gaia scienza, Nietzsche mise una poesia intitolata A Goethe, che merita di essere meditata:
L’imperituro
È sol tuo simbolo!
Dio, tessitor di frodi,
È inganno di poeti…
Ruota del mondo, nel suo rotolare,
Meta sfiora su meta:
Tribolazione – la chiama l’astioso,
Ma pel giullare è – gioco…
Gioco del mondo che imperioso
Va mescolando Essere e Parvenza:
L’eterna demenza
È noi che rimescola dentro!…28
Non apparirà superfluo sottolineare come, proprio in questa poesia in cui si confronta con Goethe, Nietzsche metta a fuoco, in poche righe, la problematica filosofica della fase matura del suo pensiero, ruotante intorno alla dottrina capitale dell’eterno ritorno, che proprio nella Gaia scienza comincia ad affacciarsi per la prima volta.Superfluo sottolineare, come tutta l’attività speculativa di Colli, sia stata impegnata dal confronto con queste problematiche capitali.
L’atteggiamento di Colli verso Goethe è, rispetto a Nietzsche, più critico e ricorda quello di Heidegger. Dalla poesia precedente quella che ci interessa, sappiamo che quando Colli scrive la poesia Goethe egli si trova a Weimar, nel luogo dove Goethe ha vissuto tutta la sua esistenza adulta e dove si trovava l’Archivio Nietzsche, snodo fondamentale per chi, proprio in quegli anni, andava preparando l’edizione storico-critica delle opere del filosofo di Zarathustra. Da non dimenticare, inoltre, a testimonianza di come Colli fosse, in ogni caso, profondamente stimolato da Goethe, che, tra la pagina 224 e la pagina 225 di La ragione errabonda, ci sia un disegno di pugno di Colli della casa di Goethe al Frauenplan di Weimar. Ed è proprio a Weimar, inteso come luogo, che la prima parte della poesia si riferisce:
Righe di pioggia
sui ripidi tetti di ardesia
– nella stanza s’attenua
il bianco delle statue,
volti enormi
di efebi senza occhi
cadono nell’ombra.
Attraversa la piazza
un giovane serio,
e viene a scrivere
i tuoi pensieri29.
Poco più di trent’anni prima, un altro giovane serio e geniale, Walter Benjamin, era andato a raccogliersi nei luoghi in cui visse il grande poeta, mentre componeva il suo saggio Goethe, che la grande Enciclopedia sovietica in gran parte rifiutò30.
Ma è nella seconda parte della poesia che entriamo nel problema relativo a Goethe, così come Colli lo vedeva e lo concepiva:
Un dominio senza guerre
– lungo giardini fioriti,
cieli mutevoli e sguardi
delicati –
è stata la tua sorte.
Ti sono mancati, o insaziabile,
il sangue e il terrore
di una lotta senza speranza?
Per comprendere ciò che Colli vuole veramente dire occorre rifarsi a due paragrafi di Dopo Nietzsche, entrambi esplicitamente dedicati a Goethe. Per Colli, la posizione di preminenza contro il mondo moderno che Nietzsche assegnava a Goethe, appare inadeguata. A prevalere, in Goethe, sono atteggiamenti «di debolezza e di acquiescenza, se non addirittura di connivenza»31. Il suo classicismo è fiacco: inferiore a quello del Quattrocento italiano. Il teatro olimpico e gli edifici palladiani di Vicenza, non sono, per Colli, paragonabili ad un tempio greco del V secolo a. C. In più, «nel suo modello di uomo intero c’è ancora troppo cristianesimo»32. Presunzione e spirito conciliante lo rendono inferiore a Nietzsche, che invece possedeva «l’insoddisfazione verso di sé»33 e «l’intransigenza verso il di fuori»34, assai più propizie ad una critica del presente. Nel secondo di questi due paragrafi dedicati a Goethe, Colli prosegue il filo del suo ragionamento: Goethe fu «un’erma bifronte»35. Più che raggiungere il modello dell’interezza, come ogni grande mente egli ha saputo salvare sé stesso, analogamente a Thomas Mann, si potrebbe rilevare. Per il resto, ha sfruttato il successo, solleticando i vizi dei tedeschi. In filosofia ha favorito Hegel, pur avendo conosciuto il giovane Schopenhauer ed averne apprezzato l’opera. Sul piano generale fu disposto a subordinare il suo «classicismo fasullo, ellenistico»36 ad una «rielaborazione caotica, morbida, decadente, troppo tedesca, del mito cristiano»37.
Eppure, se ci si sposta dal piano della critica del presente ad un piano maggiormente universale, non apparirà esagerato affermare, che furono proprio le caratteristiche per le quali Colli denigra Goethe, a renderlo grande, degno dei Greci: «Un dominio senza guerre / – lungo giardini fioriti, / cieli mutevoli e sguardi delicati -».
- Nell’abisso della contemporaneità
Mentre lavorava alla sua grandiosa interpretazione di Nietzsche, Martin Heidegger andava ripetendo, ad amici e familiari, «Der Nietzsche hat mich kaputtgemacht!», ossia «Quel Nietzsche mi ha distrutto!»38. Certo che, nell’interpretazione che Heidegger dà del pensiero di Nietzsche, c’è molto del pensiero di Heidegger stesso, come in tutta la rilettura che egli dà degli snodi significativi della metafisica occidentale. Il Nietzsche di Colli, viceversa, come quello di Karl Löwith e di Mazzino Montinari39, ha il vantaggio di essere più vicino all’originale. A fianco di Dopo Nietzsche e degli Scritti su Nietzsche40 – libro postumo che raccoglie le sobrie e penetranti note critiche premesse da Colli ai singoli volumi delle opere di Nietzsche – la poesia, contenuta in La ragione errabonda ed intitolata Per un anniversario, fa a pieno titolo parte di questo ciclo interpretativo.
Essa fu scritta il 25 agosto 1964 nell’anniversario della morte di Nietzsche, avvenuta il 25 agosto 1900. Il filosofo si spegneva dopo un decennio di devastante follia, quando il suo astro aveva iniziato la sua ascesa nell’empireo della cultura europea. Sebbene la questione della malattia di Nietzsche sia molto complessa, è possibile averne un’idea dall’ultima lettera scritta da Torino a Jakob Burckhardt, il 6 gennaio 1889:
Caro signor professore, in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho osato spingere il mio egoismo privato al punto di tralasciare per colpa sua la creazione del mondo41.
Dopo questa lettera, Burckhardt avvertì Overbeck, che andò a Torino. Nella Ragione errabonda le note critiche dedicate a Nietzsche sono moltissime, tra cui una ha esplicitamente ad oggetto la sua malattia42. Ma l’efficacia espressiva della lirica è ad un livello ancora superiore. Nella seconda strofa, Colli scrive:
Dalla fermezza degli occhi
serrati nelle orbite buie
si ritrasse senza lotta
il flutto estenuato
della tua vita, e nessuno
conobbe l’attimo
di quella dipartita43.
Come nel caso di Hölderlin, l’immensa solitudine del genio folle, è la dimensione che, di gran lunga, appare quella dominante. Uomini che spinsero la potenza espressiva della Parola a limiti, quali la cultura tedesca ed europea non avevano mai conosciuti, perirono entrambi della stessa sorte. A questo proposito è interessante soffermarsi su un paragrafo di Dopo Nietzsche, significativamente intitolato La verità atterrisce, che ci aiuta a circoscrivere la questione: «Nietzsche vide che il dolore della nostra esistenza è senza scampo, che a nulla valgono le illusioni e le menzogne per allontanarlo da noi. Di fronte all’angoscia di questa visione seppe essere “veritiero”, ma poi prima di soccombere, smarrito nella foresta della conoscenza, ne aizzò gli “screziati animali da preda”, esultò nel terrore e nella disperazione, per mostrarsi nella figura di un lottatore vittorioso. I cacciatori del dolore, prima di Socrate, uscirono vivi da quella selva»44.
Sotto il profilo delle rappresentazioni artistiche della follia di Nietzsche, occorre ricordare che un altro cacciatore del dolore, Thomas Mann, descrisse, nell’ultima pagina del suo Doktor Faustus il crollo di Adrian Leverkühn sulla falsariga di quello di Nietzsche45.
Nella terza strofa della poesia, Colli muta vertice di osservazione, restituendoci quelle caratteristiche del filosofo, per le quali Nietzsche apparterrà, in modo imperituro, alla storia della cultura mondiale:
Rimangono le tue parole,
rondini folli
che garriscono nere
nell’ebbro cielo di giugno;
dardi appuntiti a ferire
la mente errabonda dell’uomo;
un canto che raggela
come il peana degli Spartiati
e atterrisce il nemico
prima che le spade risuonino46.
Conclusioni
Come abbiamo visto, le poesie di Colli in La ragione errabonda costituiscono un materiale filosofico e poetico, di straordinaria qualità ed intensità. Abbiamo scelto di commentare quelle dotate di un significato maggiormente universale, tali da risuonare in tutta la sua opera. In questo percorso che si snoda attraverso quattro tracce – Platone, Alessandro Magno, Goethe, Nietzsche – emerge un quadro interpretativo del complesso della cultura occidentale, sulla scia delle parole e dell’interpretazione di quel filosofo e studioso impareggiabile che Colli fu. L’esperienza della sapienza arcaica delle origini, risuona in coloro che per essa hanno avuto ascolto. In Platone, che ne è ancora pervaso, che di quel mondo si sente ancora parte, che cerca di incarnarlo per un’ultima volta: «Platone ferma per un attimo la ruota dell’ananke, è l’uomo che da solo dà vita ad un crepuscolo splendido»47, scrive Colli nello stupendo capitolo iniziale, intitolato La Grecia dei filosofi, di La natura ama nascondersi. Anche in Alessandro quel messaggio è ancora vivo, anche grazie alla mediazione di Aristotele. Nell’abbozzo di tragedia dedicato alla sua morte, che abbiamo commentato, Colli ha avuto la straordinaria abilità, proprio grazie al suo metodo storico unico, di restituire al grande Alessandro la sua voce. Chi ha la fortuna di visitare le tombe reali dell’antica Ege, odierna Verghina, scoperte dall’archeologo Manolis Andrònikos, che le ha attribuite a Filippo II, padre di Alessandro, e ai suoi congiunti, non potrà che avere conferma di ciò. Anche in Goethe sentiamo risuonare lo stesso messaggio, seppure per Colli, come si è visto, esso fosse annacquato dall’ellenismo e dal cristianesimo. In Nietzsche, infine, la sapienza greca arcaica recupera la sua antica dimensione, di pienezza e potenza di una Parola straordinaria, ma l’uomo, il sostrato del tessuto individuale non regge più, non è quello di Eraclito, Parmenide ed Empedocle, ma quello di un professore di filologia tedesco e la fine di Nietzsche, come quella di Hölderlin, fu tragica. Colli, invece, mediando con maggior felicità l’elemento dionisiaco con quello apollineo, seppe entrare nel tempio dell’antica sapienza, uscendone vivo. Forse anche per questo, egli continua a rappresentare tanto per le nuove generazioni.
Daniele Lorusso
1 Cfr. F. Nietzsche, Der Wille zur Macht. Versuch einer Umwerthung aller Werthe (1906); trad.it. La volontà di potenza. Frammenti postumi ordinati da Peter Gast e Elisabeth Förster-Nietzsche, a cura di M. Ferraris e P. Kobau, Bompiani, Milano 2001, p. 9. Quest’opera che ha avuto un ruolo centrale nella comprensione novecentesca di Nietzsche, precede di molti anni, come ovvio, la grande edizione storico-critica delle opere di Nietzsche a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, nata anche per correggere le storture ermeneutiche prodotte proprio da quest’opera. Il saggio di M. Ferraris Storia della volontà di potenza, posto in appendice (pp. 563-688), dà conto, in tutte le varianti possibili e immaginabili, della complessa storia di questo libro.
2 Nell’ambito degli inediti di Colli pubblicati per Adelphi da Enrico Colli, la tesi di laurea è stata pubblicata, ed è composta da due parti: Filosofi sovrumani e Platone politico, che è la riproposizione del saggio uscito per la Nuova rivista storica.
3 Sebbene Colli, sulla sia di Schopenhauer, detestasse Hegel, non apparirà superfluo ricordare come, nella leggendaria Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, Hegel parli del Parmenide come della «più grande opera d’arte della dialettica antica» (ed. De Negri, p. 43). Per quanto concerne la storia delle conseguenze della contrapposizione Hegel-Schopenhauer, cfr. il duro ed articolato giudizio di G. Sasso sull’opera di Colli, in: Il guardiano della storiografia. Profilo di Federico Chabod e altri saggi, Il Mulino, Napoli 2002, pp. 455-460. Non apparirà superfluo, allora, ricordare come, proprio partendo da Parmenide e dal Sofista di Platone, Gennaro Sasso abbia elaborato una delle più importanti teorie filosofiche degli ultimi decenni della filosofia italiana, che M. Visentin ha definito, insieme al pensiero di Severino, come neo-parmenidismo. Particolarmente interessante, nel contesto di questa riflessione, G. Sasso, L’essere e le differenze. Sul «Sofista» di Platone, il Mulino, Bologna 1991.
4 G. Colli, ΦΥΣΙΣ ΚΡΥΠΤΕΣΘΑΙ ΦΙΛΕΙ. La natura ama nascondersi (1948), a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 1998, p. 13.
5 Non a caso, alla fine della Premessa di La natura ama nascondersi, è scritto: «ben poco di vitale è stato compreso sinora della Grecia, all’infuori di quanto hanno detto Nietzsche e Burckhardt» (ivi, p. 14). Questa resterà la posizione di Colli fino al III volume di La sapienza greca dedicato ad Eraclito, uscito postumo nel 1980.
6 G. Colli, La natura ama nascondersi, cit., p. 261.
7 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 1982, p. 558.
8 Per quanto riguarda il rapporto del paesaggio greco con la filosofia, cfr. G. Colli, Filosofia dell’espressione (1969), Adelphi, Milano 1996, pp. 173-174. Un modo tutto particolare, e di grande originalità, nel trattare la relazione tra le bellezze naturali della Grecia e i suoi monumenti, lo ebbe Sir J. G. Frazer, Pausanias and Other Greek Sketches (1900); trad. it. Sulle tracce di Pausania, trad. di R. Montanari, Adelphi, Milano 1994.
9 Cfr. F. Lefèvre, Histoire du monde grec antique (2007); trad. it. Storia del mondo greco antico, a cura di F. Gazzano, Einaudi, Torino 2012, p. 153.
10 Le edizioni di Aristotele e Kant sono riproposte da Adelphi, cfr. Aristotele, Organon, a cura di G. Colli, Adelphi, Milano 2003; I. Kant, Critica della ragione pura (1781-1787), introduzione, traduzione e note di Giorgio Colli, Adelphi, Milano 1995.
11 Per uno scavo in profondità dei nessi teoretici di quest’opera, cfr. M. Cacciari, Della cosa ultima, Adelphi, Milano 2004, pp. 449-454.
12 Cfr. G. Colli, Per una enciclopedia di autori classici (1983), Adelphi, Milano 1995.
13 Per un quadro di insieme del pensiero di Colli, cfr. D. Lorusso, L’apprendista stregone. Note sul rovesciamento di mezzi e fini nel mondo contemporaneo, Moretti & Vitali, Bergamo 2014, pp. 279-289, cui mi permetto di rimandare.
14 E. Colli, Criteri dell’edizione, in: G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 14.
15 La centralità, per il giovane Colli, dei temi della Nascita della tragedia di Nietzsche, è dimostrata dai saggi inediti contenuti nel volume Apollineo e dionisiaco, a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 2010.
16 Cfr. l’Introduzione metodologica, posta al principio di La natura ama nascondersi, cit., pp. 17-20.
17 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 567.
18 Ibid.
19 Ibid.
20 Ivi, pp. 568-569.
21 Ivi, p. 572.
22 Ivi, p. 569.
23 Cfr. G. Pasquali, Ellenismo (1932), in: Enciclopedia Italiana Treccani [https://www.treccani.it/enciclopedia/ellenismo].
24 Cfr. J. G. Droysen, Geschichte Alexanders des Grossen (1833); trad. it. Alessandro il Grande, traduzione di L. Alessio, Tea, Milano 1998, p. 42.
25 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 570. All’inizio di questo frammento, in cui a parlare è il Coro, troviamo l’espressione «Pietà per l’eroe». Nel suo apparato critico, E. Colli rimanda all’ultimo capitolo di Dopo Nietzsche, dove l’espressione «Pietà per un eroe» si riferisce al destino terreno del pensatore Nietzsche, su cui ritorneremo più avanti. Cfr. G. Colli, Dopo Nietzsche (1974), Adelphi, Milano 1996, pp. 185-201.
26 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 572.
27 Come dimenticare il meraviglioso romanzo Lotte in Weimar del 1939? Cfr. T. Mann, Carlotta a Weimar, traduzione di L. Mazzucchetti, introduzione di R. Fertonani, Mondadori, Milano 2012.
28 F. Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft (1882); trad. it. La gaia scienza, Idilli di Messina e Frammenti postumi 1881-1882, in: Opere di Friedrich Nietzsche, V, 2, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1991, p. 311.
29 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 574.
30 Cfr. W. Benjamin, Weimar (1928), in: Ombre corte. Scritti 1928-1929, a cura di G. Agamben, Einaudi, Torino 1993, pp. 114-116.
31 G. Colli, Dopo Nietzsche, cit., p. 157.
32 Ibid.
33 Ibid.
34 Ibid.
35 Ivi, p. 198.
36 Ivi, p. 199.
37 Ibid.
38 Cfr. F. Volpi, Postfazione, in: M. Heidegger, Nietzsche (1961), Adelphi, Milano 2005, p. 972. Cfr. F. Volpi, La selvaggia chiarezza. Scritti su Heidegger, con una nota di A. Gnoli, Adelphi, Milano 2011, p. 110. Il libro raccoglie gli scritti di Volpi su Heidegger che accompagnano le traduzioni delle opere di Heidegger da lui curate per Adelphi.
39 I classici, e stupendi, lavori di Karl Löwith su Nietzsche vanno dal libro del 1935 intitolato Nietzsche e l’eterno ritorno al cruciale Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX del 1941, tradotto in lingua italiana, per Einaudi, proprio da Giorgio Colli. Per quanto riguarda i lavori, cruciali, di Montinari sul pensiero di Nietzsche, nati come conseguenza del lavoro di edizione condotto con Colli, cfr. M. Montinari, Che cosa ha detto Nietzsche (1975), a cura e con una nota di G. Campioni,Adelphi, Milano 1999; Id., Nietzsche (1981), Editori Riuniti, Roma 1996.
40 Cfr. G. Colli, Scritti su Nietzsche (1980), Adelphi, Milano 1995.
41 F. Nietzsche, Lettere da Torino, a cura di G. Campioni, traduzione di V. Vivarelli, Adelphi, Milano 2008, p. 200.
42 Cfr. G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 133. Molto interessante, sotto questo profilo, il saggio che Calasso ha dedicato ad Ecce homo, intitolato Monologo fatale, cfr. R. Calasso, I quarantanove gradini, Adelphi, Milano 1991, pp. 15-64.
43 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., p. 194.
44 G. Colli, Dopo Nietzsche, cit., p. 19. Fondamentale rimane, in ogni caso, il paragrafo conclusivo di Dopo Nietzsche, intitolato Il modello dell’integrità (pp. 199-201).
45 Cfr. T. Mann, Doktor Faustus. Das Leben des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkühn, erzählt von einem Freunde (1947); trad. it. Doctor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn narrata da un amico, traduzione e commento di L. Crescenzi, Mondadori, Milano 2016, pp. 742-744. Le edizioni curate e nuovamente tradotte da Luca Crescenzi dei capolavori di Thomas Mann, condotte sulla falsariga delle più recenti edizioni critiche tedesche, permettono una ricezione prima impensabile dei grandi lavori narrativi di Mann. In questo caso la certezza che Mann abbia utilizzato tutta una serie di testimonianze sul Nietzsche malato, per rappresentare il crollo del suo Leverkühn.
46 G. Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, cit., pp. 194-195.
47 G. Colli, La natura ama nascondersi, cit., p. 33.
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