Tirannie. Dalla Grecia all’Europa – II

Oltre la Politica

Nel numero precedente (Tirannie I: la febbre del cambiamento) ci siamo interrogati sul ruolo della tirannia nella vita politica dell’Occidente: dall’antica Grecia ai giorni nostri. Ne è venuta fuori una ricostruzione che ha messo in luce quanto i noti tratti negativi della tirannide, ovvero l’arbitrarietà, il dispotismo e l’autoritarismo fossero all’origine molto meno marcati. I primi tiranni, infatti, per ricavare uno spazio di visibilità e di manovra in un contesto ristretto come quello aristocratico, si fecero portatori delle istanze delle classi emergenti. In questo modo si rivelarono di fatto degli cose degli innovatori e i protagonisti di una progressiva autonomizzazione della politica.

In questo numero abbiamo voluto spingere lo sguardo oltre questi aspetti immediatamente storico-politici della tirannia per tentare di cogliere nei fenomeni che le ruotano intorno, che forse la giustificano o la alimentano. Molti indizi si ritrovano già nell’episodio, vero o presunto che sia, raffigurato dall’immagine di copertina in cui si vede Pisistrato guidare un carro con alle sue spalle ‘Atena’. Secondo la leggenda, infatti, il famoso tiranno di Atene per suggerire al popolo che anche la dea volesse il suo ritorno in città, da cui era stato bandito per un precedente tentato colpo di stato, escogitò l’idea di travestire una bella fanciulla della Tracia con le effigi della dea e di portarla in giro per Atene. Dunque la bellezza, il retto consiglio e l’approvazione divina, sono simboli che vengono attirati a sé da parte del tiranno per strumentalizzarli ai fini del consenso e dello spazio pubblico. Il tiranno sa attrarre distraendo e sa distrarre attraendo, e in questa sapere giocare elasticamente, in questa capacità seduttiva si coglie forse uno dei significati più antichi e attuali della tirannia, quasi come se nell’etimo per altro incerto del Tyramnos che abbiamo ricostruito nel numero precedente si celi il gesto simulativo e ambiguo del tirare a sé con subdola forza.

Oggi, in effetti, sembrano tirare a sé nascondendosi dietro in un’aura di democraticità innanzitutto i cosiddetti social come Facebook, sostiene nel suo contributo Angela Arsena (L’eterno ritorno della tirannide. Dalla realtà analogica a quella virtuale). Dietro le facce degli iscritti e un loro spazio autogestito si nasconderebbe infatti un tirannico proprietario che può determinare, autorizzare o negare insindacabilmente l’accesso se non addirittura la stessa identità digitale.

Ma non di meno, come nota Fabio Perroni (Intelligenza Artificiale, Big Data, Machine Learning: quali le sfide, quali i rischi?), esercitano nascostamente un potere tirante gli stessi ‘motori di ricerca’ come Google che dietro una superficie di puro servizio all’utenza capitalizzano e strumentalizzano la montagna di dati acquisiti in un funzione politica. Il problema è complesso quanto l’intelligenza artificiale che guida queste innovazioni dagli inizi e i cui ammalianti risultati sono sotto gli occhi e le orecchie di tutti (v. assistenti personali intelligenti come Alexa). L’uso strumentale degli algoritmi che animano i motori di ricerca, del resto, sta condizionando di fatto e sempre più le stesse competizioni elettorali (come dimostrano i recenti casi inglesi e americani), rivelando l’intrinseca pericolosità e potenziale antidemocraticità delle cosiddette machine learning.

Dietro alle innovazioni tecnologiche, infatti, fa capolino il tema della tirannia della tecnica che offre a chi ne sa approfittare la strada di una conquista in solitaria del potere a riflettori spenti. La tecnica sta alterando gli equilibri geopolitici in modo preponderante e preoccupante, ci avverte Riccardo Bertolotti (Pace e Rischio) con la guerra dei droni, l’hackeraggio informatico, il condizionamento del consenso politico. Solo una uscita allo scoperto dei principali attori politici e quindi l’adozione di criteri e principi condivisi potrebbe a suo avviso sbloccare una situazione altrimenti di stallo.

La stessa Europa almeno fino all’inizio 2020, quando di fatto si è chiuso in redazione il numero che avete sotto le mani, viveva una situazione di stallo: da un parte una politica di austerità imposta dai paesi più virtuosi dell’Unione e dall’altra l’esigenza di maggiori investimenti e di una politica di spesa ben oltre i parametri di Maastricht dai paesi strozzati dal debito pubblico. Dunque da una parte tirannia dell’euro e dall’altra esigenza di recuperare una sovranità monetaria e non solo. Di fronte a questa situazione decidemmo di approfondire la questione dell’Euro come tiranno ‘Europa riuscendo a coinvolgere illustrissimi interlocutori come Romano Prodi, già presidente della Commissione europea, e tra i padri della moneta unica e Carlo Galli, filosofo della politica ed eminente studioso di Carl Schmitt. Entrambi hanno visto dietro l’apparente tirannia dell’Euro qualcos’altro.

Per Galli, chi tiranneggia veramente in Europa sotto le mentite spoglie della moneta unica è l’ordo-liberalismo: una dottrina economica teorizzata alla fine degli anni ’50 del secolo scorso che mirava a guidare le dinamiche del mercato attraverso una rigoroso controllo dei fondamentali economici da arte dello Stato. È una teoria valida ma che presuppone una serie di requisiti che non tutti paesi comunitari avevano al momento della sua adozione. Il risultato, a detta di Galli, è stato di fatto l’arricchimento o quanto meno la prosperità di alcuni paesi a danno di altri. In questo contesto l’entrata dell’Euro non ha di certo facilitato le cose. Dunque l’euro non è la causa originaria della tirannia ma certo l’elemento della sua perduranza, la forza che incatena e impedisce altre soluzioni (Intervista a Carlo GalliTiranno in Europa è un ordoliberalismo senza ordo”).

Per Prodi, invece, il vero tiranno non è certamente l’Euro, né tanto meno l’odoliberalismo ma semmai il neo-liberismo delle multinazionali e l’egemonia politico economica delle grandi potenze come Usa e Cina (Intervista a Romano ProdiLa tirannia non è l’euro ma il neoliberismo senza controlli”). L’Europa a sua avviso ha compiuto enormi passi in avanti verso l’integrazione ma tanto resta da fare per acquisire maggiore peso e maggior autonomia a partire da una politica decisionale più condivisa, però, come dice una vignetta che riportiamo alla fine dell’intervista, se non passa il treno dell’Euro guidato dall’amico Kohl, l’Italia non sarebbe entrata in Europa e adesso sarebbe sotto il suo giogo ancor di più di quanto non lo sia già: “se non ci fosse l’euro la Francia, l’Italia e gli altri grandi Paesi conterebbero ancora meno e la Germania avrebbe un ruolo ancora più egemonico”.

Insomma il dibattito tra i due emiliani si stava facendo davvero interessante ma la pandemia subentrata pochi mesi dopo ha fatto scivolare il tema dell’euro e dell’ordoliberalismo in secondo piano. Adesso non si parla d’altro che di solidarietà comunitaria, di strategia, di panificazione e di apertura di credito come non avveniva dalla fine del secondo conflitto mondiale con il piano Marshall. Speriamo bene,

Ma la nostra indagine sulla tirannia non si è soffermata solo sugli aspetti economici, sociologici e tecnologici, ma ha voluto indagare anche quelli che riguardano la biopolitica ovvero il controllo della salute mentale da parte dello Stato. Dopo le coraggiose scelte di chiudere i manicomi negli anni ’70 e quelle forse più temerarie di chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari, ci si trova adesso ad addossare sugli psichiatri, stretti tra il mandato di custodia dei pazienti e le esigenze terapeutiche, le responsabilità di un’intera società. In realtà, siamo di fronte a una deriva di deresponsabilizzante della politica che segna un nuovo modo tirannico di esercitare il potere, nascondendosi dietro regole e la burocrazia, fenomeno tutto da approfondire, come ha iniziato a fare nel suo originale contributo Maria Luisa Pulito (Salute mentale e Tirannia).

Prima di lasciarvi alla lettura vi segnaliamo i due articoli della sezione ‘approfondimenti’. Il primo è il contributo di Valentina Erasmo (L’influenza del pensiero di Guido Calogero in Federico Caffè e Amartya Sen) che ripercorre il filo rosso che congiunge il liberalsocialismo del filosofo Guido Calogero alle teorie economiche di Federico Caffè e di Amartya Sen, così fortemente caratterizzate dai concetti come giustizia ed equità.

Il secondo contributo, di Daniela Falcioni (Ospitalità e ostilità: un dilemma antico ancora attuale) ci invita a tornare a riflettere sul senso del termine ospitalità che da sempre descrive sia l’accoglienza sia il rifiuto di fronte allo straniero, un alternativa che non è certo aggirabile, come dimostrano sia la tradizione abramatica sia quella indoeuropea.

Dopo due numeri dedicati alla tirannia, sono tanti i punti di vista che abbiamo offerto al lettore: storico, filosofico, politico, economico, sociologico, tecnologico e psichiatrico. Alcuni hanno inquadrato il fenomeno, altri il concetto ed in entrambi i casi ne è emerso un profilo in forti chiaroscuri ma dai contorni sfumati; e non poteva essere diversamente se si pensa che il metodo con cui è stato scelto il tema della tirannia è stato proprio quello di Leussein, ovvero di andare a osservare un oggetto nella consapevolezza che la nostra soggettività ne fosse implicata e allo stesso temo ne alterasse la visione.

Le conclusioni le lasciamo come sempre trarre ai lettori, noi ci limitiamo a ringraziarli e ad avvertirli che anche noi come tante altre riviste dopo questo numero dovremo rinunciare alla versione cartacea. Continueremo naturalmente a essere presenti nella versione online e possiamo già anticipare l’argomento del prossimo numero: esilio.

Buona lettura!


Direttore editoriale della rivista Leussein, si è laureato in giurisprudenza (La Sapienza) e in filosofia (Gregoriana), e ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia della politica (La Sapienza). E' stato ideatore, coordinatore ed editorialista della Rivista della Scuola superiore dell’economia e delle finanze dal 2004 al 2006. Ha scritto diversi saggi e ha collaborato con diverse Università (Sapienza, Gregoriana, Lateranense, UPRA) e istituti di ricerca (Istituto italiano filosofici di Napoli - Scuola di Roma, Studi politici San Piov). I suoi percorsi di ricerca si snodano negli ambiti della filosofia ebraica, la teologia politica, gli studi postcoloniali e la teoria della comunicazione.


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