La febbre del cambiamento sociale
I tiranni come spin-off della storia
‘Spin-off’ è una locuzione inglese che il Cambridge Dictionary spiega così: “a product that devlops from another more important product”. In italiano il Sabatini-Coletti la tradurrebbe come “utile secondario”, il De Mauro come “allargare il campo di applicazione”, e la Treccani “Risultato o sviluppo positivo di un’azione, una ricerca, un prodotto”. Per farsi un’idea pratica di cosa stiamo parlando, basterebbe vedere due serie televisive in cui un personaggio secondario o coprotagonista della prima diventa il protagonista assoluto della seconda.
In fondo molti numeri di Leussein, ‘televisivamente’ parlando, possono essere considerati come una lunga serie di spin-off.: questo numero, per esempio, che intende investigare il senso e le origini del fenomeno della tirannia prende spunto della emblematica vicenda politica di Pisistrato così come è emerso in un precedente numero di Leussein, ovvero ‘Teatro della democrazia’ (2015). Qui Edith Hall ce ne parlava perché fu sorprendentemente proprio il tiranno Pisistrato ad incardinare le rappresentazioni teatrali nella vita politica e culturale della città. Il numero sul ‘Il teatro della democrazia’, a sua volta era lo sviluppo di una ricerca precedente condotta nel numero “Le relazioni pericolose” del 2014 nel quale Cinzia Bearzot riconosceva allo ‘spazio’ culturale del teatro un ruolo di coprotagonista della vita politica della polis (Luoghi della relazione della Grecia antica ). La questione diventava allora: chi svolge oggi il ruolo democratico del teatro dell’antica Grecia: la televisione, la radio, il cinema? “Le relazioni pericolose”, a sua volta è un numero che sviluppava l’intuizione contenuta in “Società senza rischio”,(Leussein del 2013) e così continuando potremmo risalire fino forse al primo numero di Leussein.
Ma se ci siamo soffermati su questa locuzione inglese non è solo per sottolineare un tratto del nostra scelta editoriale e redazionale quanto perché si vuole sostenere che i tiranni in un certo senso sono degli spin-off della storia delle idee e della ‘storia’ in generale: personaggi copratogonisti del loro tempo che ad un certo punto, per determinazione, estro, carisma e originalità, nel bene e nel male, escono dal solco ‘normale’ degli eventi, dal continuum ‘beniamignano’ della storia, per avventurarsi in vie nuove e rischiose, creando di fatto nuovi modi di ‘fare’ politica.
Tornando al nostro Pisitrato, questi appare come il primo che compie un passo di lato, allargando gli orizzonti politici, economici, sociali e culturali del suo tempo (non ultimo appunto il teatro). Allargare gli orizzonti appare quasi una necessità, una stretta via metodologica che il tiranno deve percorrere per essere riconosciuto come attore politico e per conquistare prima e mantenere poi il potere. Conferma questa ipotesi lo storico Pietro Vannicelli nell’intervista che in questo numero ha rilasciato al nostro Alessandro Brambilla (Il tiranno e la febbre della democrazia): “Il tiranno deve trovare forme di riconoscimento che non possono essere tradizionali, in quanto politicamente è un neoarrivato”. Il tiranno è costretto a pensare e dare forma al nuovo, e come tale appare un portatore sano di un virus destabilizzante: “il tiranno è certamente un elemento di crescita, una febbre utile alla città aristocratica che comporta delle trasformazioni al termine delle quali normalmente l’aristocrazia si presenta quantomeno come più allargata”. Mettendo da parte l’aspetto tristemente degenerativo di questa forma politica, rimane evidente il ruolo dialettico che svolge il tiranno, che mette in luce in modo per certi aspetti inediti le zone d’ombra della stessa democrazia. Questa, infatti, rileva ancora Vannicelli, si afferma e si sviluppa attraverso forme che sono inevitabilmente tiranniche, denotando la profonda consapevolezza del tragico e del contraddittorio che che si nasconde dietro ogni forma politica, compresa la stessa democrazia; consapevolezza questa che non mancava a Pericle o quanto meno agli storici che lo hanno narrato: “Del resto, la parola “democrazia” nasce con una estrema complessità di significati già in origine e diventa sì esercizio del potere da parte della maggioranza popolare, ma anche esercizio spregiudicato e tirannico del potere stesso […] Il Pericle dell’Epitafio è anche quello del terzo discorso tucidideo che dice che Atene è città tirannica. Non è una contraddizione, ma una lucidissima presa d’atto della complessità del reale. I Greci hanno vissuto tragicamente questa dialettica”.
Con queste premesse concettuali, il percorso del numero si apre ad approfondimenti storici e filosofici ancora più suggestivi. A cominciare dal contributo di Alessandro Brambilla (La tirannide arcaica tra dispotismo, moderazione e democrazia) sulle tirannidi più arcaiche della Grecia continentale di Policrate di Samo, di Ligdami di Nasso e Teagene di Megara che mette in luce la complessità e la ricchezza dell’esperienza di tanti poleis, una sorta di costante esperimento politico a cielo aperto del rapporto tra libertà e necessità, tra amicizia e inimicizia, tra cittadini, città e popoli.
L’articolo di Umberto Livadiotti (Superbi e sovversivi. Percezioni del tiranno nell’antica Roma) illumina altre aspetti meno conosciuti del concetto di tirannia nell’antica Roma partendo dalla percezioni per lo più opposte che ne hanno da una parte gli aristocratici dall’altra il popolo. Attraverso le figure di Tarquinio il superbo, Spurio Melio, Tiberio Gracco e Giulio Cesare, Livadiotti dimostra come l’aristocrazia si riveli scaltramente abile a neutralizzare, strumentalizzare e ribaltare la naturale spinta innovativa che la tirannide ha saputo portare in Grecia, mentre il popolo inizia ad usare e a stigmatizzare come tirannici alcuni comportamenti della stessa aristocrazia. Segno quest’ultimo che il concetto di tirannia comincia ad autonomizzarsi, a diventare una categoria politica a se stante.
Dal punto di vista filosofico, la riflessione che per la prima volta concepisce la tirannia non solo come come fenomeno politico ma anche come categoria filosofica è quella di Platone nella Repubblica [libro IX], che riconosce nella tirannide la degenerazione ultima delle forme di governo ivi contemplate, quella che trapassa dalla democrazia, dal governo dei liberi. La tirannia per Platone è l’espressione spirituale di una condizione umana non ben educata al bene e al giusto, perché in preda ai desideri e alle proprie paure: il tiranno finisce per invidiare anche i suoi sottoposti, come un padrone i suoi servi, dice Platone, condizione che tradisce la massima infelicità [Rep., libro IX].
Il rapporto servo-padrone, analizzato e reso celebre da Hegel, nella Fenomenologia dello spirito costituisce lo snodo centrale del contributo di Pierpaolo Fiorini (Sulla Tirannia. Riflessioni filosofico-giuridiche sul potere instabile e senza misura), il quale insiste sulla natura ‘informe’ della tirannia, in quanto segnata imprescindibilmente da “ instabilità, incertezza, paura bilaterale, fretta, arbitrio, dismisura, oltrepassamento degli argini, dei costumi, del comune sentire, dal bene comune, pressione e oppressione di una vita ridotta e tradotta al suo egoismo animale o ad un servilismo vegetale. Essa quindi non è una forma di governo, ma qualcosa di informe, in quanto rompe la forma stessa”. Il tirannico rapporto servo-padrone per Fiorini è l’emblema della non chiusura del circolo virtuoso del riconoscimento hegeheliano, perché il tiranno non superando le sue paure le cristallizza all’infinito. Un meccanismo del resto assai difficile da riallineare, perché la frattura si è in qualche modo mal-ricomposta e saldata nelle nuove forme di capitalismo che è riuscito ad invertire la dimensione concreta del lavoro e della merce per quella astratta del denaro e della finanza. La tirannia dunque secondo Fiorini oggi è presente in forma tacita e nascosta, sotto le mentite spoglie di una accelerazione sistemica dei comportamenti, che si rivelano necessariamente fungibili e sostituibili ad un equilibrio del sistema.
Se il capitalismo odierno può essere considerato uno ‘sviluppo’ del rapporto servo-padrone, giunti a questo punto e venendo agli affari di casa nostra, viene allora da chiedersi se non sia stato il modello economico-politico dell’austerità dell’euro, ovvero l’ordo-liberalismo di stampo tedesco imposto negli ultimi decenni all’Europa, un altro originale spin-off della storia. Ma questo sarà argomento del prossimo numero.
Prima di lasciarci occorre menzionare come molto interessanti anche se non collegati direttamente al tema del numero, l’articolo “Il labirinto della Sapienza” di Daniele Lorusso su Giorgio Colli Poeta poeta e cantore di quattro figure esiziali nella storia dell’occidente: Platone, Alessandro Magno, Goethe, Nietzsche; e l’articolo “L’evoluzione del lusso” di Guglielmo Ferrero che pubblichiamo come inedito in quanto per la prima volta in assoluto presentato in italiano grazie alla traduzione di Paolo Bevilacqua.
Buona lettura!