
È del parlare comune dire che la scuola dovrebbe essere differente.
Ognuno di noi ha vissuto traumi, più o meno importanti, e ingiustizie,
sia da parte dei compagni di classe che dei docenti; eppure negli
anni anche se tenta di trasformarsi – cercando di rincorrere i tempi che
cambiano, di adeguare linguaggi e modalità di intervento – la scuola
rimane molto simile a se stessa.
Il testo Una scuola differente riassume in sé tre principali aspetti di questo
cambiamento atteso e mai riscontrato Il contributo di Marisa Paolucci
è, infatti, un vero e proprio compendio giornalistico e sociologico di lettura e analisi del fenomeno dalla sua nascita fino ai giorni nostri: quali autori
ne hanno parlato, quali vicende sono arrivate alla ribalta, quali associazioni, enti e istituzioni hanno portato avanti tentativi di cambiamento, quali progetti sono stati implementati nel corso del tempo per contrastare le violenze nei luoghi, garantiti costituzionalmente, dell’educazione e della formazione.
Molto interessante anche la ricerca linguistica sui termini dispregiativi
che vengono utilizzati come stereotipi “normali” quotidianamente
ma che aprono la strada alla percezione della possibilità di esercitare
una certa violenza. Dalle parole ai luoghi, reali come le classi e la famiglia,
ma anche, per rispondere appieno all’attualità, virtuali come
la tv, ormai totalmente sboccata e sbruffona, che diffonde modelli di
comportamento raccapriccianti, e il web, in particolare le chat e molte
delle “abitudini” con le quali i nostri giovani e giovanissimi stanno imparando a vivere.
Si raggiunge quindi la consapevolezza che, seppur con molta
attenzione ed energie, il fenomeno del bullismo, o sarebbe meglio dire
delle violenze, al plurale per citarne tutte le forme e le intensità, è toccato
solo nella sua parte conclusiva, quella voyeuristica, quella del fatto
giornalistico, della tragedia, quella del“aveva i pantaloni rosa”, quella
del “era un ragazzo particolare”.
Tutti gli interventi quindi si concentrano sulla prevenzione del fenomeno
tragico ma si ha poco riscontro di interventi che dalla ricerca e dalla
teoria prendano spunto e magari anche concretezza.
Il contributo di Valeria Lamboglia è da questo punto di vista impeccabile
perché teoricamente spiega non solo i meccanismi psicologici
che legano la vittima al suo bullo ma come questa “coppia” sia in realtà
parte di un grande sistema di cui bisogna tener conto per poter, non
solo comprendere davvero il fenomeno, ma intervenire in modo realmente efficace.
I risultati di decenni di ricerche, nazionali e internazionali, sulle
cause della violenza hanno ormai messo in luce numerosi fattori che
vi concorrono, eppure ci si focalizza principalmente sulle vittime e sugli
autori dei comportamenti violenti, che sono sì i protagonisti diretti, ma
anche l’ultima parte di un processo molto più complesso.
I cambiamenti storici, giuridici e sociali degli ultimi decenni hanno
modificato sostanzialmente la concezione della violenza, restringendone
le soglie di accettabilità, per cui oggi se ne parla sempre più
spesso, mentre prima veniva taciuta e mascherata. È importante identificare le situazioni ambientali, culturali e relazionali, oltre che alcune caratteristiche psicologiche degli attori coinvolti, che si configurano
non soltanto come precursori (già individuate in letteratura), ma anche
come fattori che possono rinforzare o depotenziare la comparsa del
comportamento violento.
Dobbiamo chiederci in che misura la violenza sia ormai diventata un
fatto culturale, parte integrante del modo di rappresentarsi e vivere le
relazioni affettive e sociali, a partire dalle giovani generazioni e dal loro
principale contesto socio-educativo, la scuola.
L’età scolare, infatti, è contrassegnata dalla ricerca e definizione di
una propria identità e di un proprio modo di “stare” nella relazione con
l’altro: il bambino abbandona lentamente il concetto di sé costruito
sull’opinione dei genitori e lo integra con una considerazione di sé e
dell’altro derivata dai giudizi dei coetanei e degli adulti sul piano relazionale, comportamentale e degli apprendimenti.
L’istituzione scolastica ha assunto una nuova forma identitaria (“una scuola differente” appunto) al cui interno, oltre ai vari ruoli istituzionali,
sono ormai previsti, quasi dati per assodati, anche quelli dei “bulli” e delle “vittime”, ricoperti a turno dai bambini, ma anche da insegnanti, genitori, dirigenti e qualsiasi altra figura ruoti intorno a tale contesto.
Il contrasto ai fenomeni di bullismo presuppone, dunque, il riconoscimento del fatto che la violenza agita e subita sia soltanto la punta di un iceberg, di un sistema di relazioni molto più ampio.
Ed è proprio dalla letteratura prodotta in ambito psicologico che
viene offerto uno strumento di indagine ad hoc per rilevare quei “liquidi
di contrasto” che possano fornire campanelli d’allarme ai futuri
attori del mondo dell’educazione e della formazione. Paragonando
indicatori simili, teorici di fama e teorie riconosciute dalla comunità
scientifica, che sono vicine tra loro ma non restituiscono però risultati
concordanti, viene costruito un questionario al quale vengono affiancate
scale di valutazione delle specifiche dimensioni psicologiche.
Il contributo conclusivo di Maria Ciccopiedi illustra proprio i risultati
di tale indagine. Sono innumerevoli gli spunti che, credo, ognuno
potrà leggere e approfondire privatamente, ma almeno i segnali di
innovazione sono degni di nota. Il focus del questionario, che si rivolge
alle maestre della scuola primaria, prime e seconde classi, diventa
un vero e proprio screening della percezione dell’adulto docente di se
stesso, del bambino e del contesto in cui le relazioni accadono. Si parla
di emozioni, di situazioni critiche, di come le famiglie si relazionano
con l’istituzione scolastica e di come tutti questi processi vengono gestiti.
Emerge una necessità molto sentita dal corpo docente di essere formato
sugli aspetti più privati e intimi della persona e su come questo mondo
interiore debba essere gestito e comunicato ai più piccoli. Si parla di genere, che tanto spaventa alcuni adulti, e si comprende come il
nostro linguaggio sia costruito su un gap fra maschile e femminile e
quanto sia importante quindi declinare con la “a” quante più parole
possibile, perché se non si dice, non esiste.
In un’ottica di prevenzione, l’obiettivo che questa ricerca si è proposto
di raggiungere è stato proprio quello di capire cosa c’è dietro
i vari episodi di bullismo, individuando le variabili sociali, educative,
contestuali e culturali che concorrono al fenomeno e che possono
favorirlo o, al contrario, ridurlo. In definitiva è stato rilevato un bisogno
delle maestre non ancora del tutto ascoltato. Sarebbe interessante
se i risultati della ricerca fossero trasformati in uno o più strumenti
di intervento utili per tutti gli insegnanti che potranno identificare
così più facilmente strategie per prevenire fenomeni di violenze in
classe e per affrontare quelli che sono già sul nascere.
–Maria Rosa Ciccopiedi, Marisa Paolucci e Valeria Lamboglia
” Una scuola differente . Il ruolo della funzione educativa nel primo ciclo di studi per il contrasto al fenomeno del bullisimo.”
a cura di Benedetto Coccia
prefazione di Paolo De Nardis
Apes, Roma 2018
238 pp., € 18,00
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