L’influenza del pensiero di Guido Calogero in Federico Caffè e Amartya Sen

L’obiettivo di questo articolo è far emergere la possibile influenza del liberalsocialismo, in particolare, attraverso la figura di Guido Calogero, sulla evoluzione delle nozioni di libertà e giustizia nel pensiero di Federico Caffè e di Amartya Sen. Questo lavoro ha origine da una breve, ma significativa, osservazione di Giuseppe Amari nella “Postfazione” del volume Federico Caffè. Un’economista per gli uomini comuni rispetto ai due principali dibattiti intellettuali nel panorama italiano di inizio Novecento:

Il primo (…) tra Croce e Einaudi, sul rapporto liberalismo e liberismo, (…). Il secondo dibattito vide contrapposto Benedetto Croce e Guido Calogero; mentre quest’ultimo sosteneva che senza giustizia sociale, il concetto di libertà rimaneva una pura enunciazione, il primo ribadiva che quel “puro” concetto non ammetteva qualificazioni e tacciava di “ircocervo” ogni sua contaminazione pratica. Caffè (…) avrebbe menzionato il secondo (…) . D’altronde lo stesso Sen, vedovo della figlia di Eugenio Colorni, ha dato atto della influenza ricevuta dal pensiero politico e sociale italiano di matrice liberalsocialista.1

Si vuole sviluppare la seconda parte di questa osservazione, collocando Calogero nel dibattito italiano novecentesco circa la questione libertà e giustizia sociale e analizzando come Caffè e Sen abbiano sviluppato questa diade nelle loro rispettive riflessioni. L’ aspetto più rilevante di questo lavoro è quello di mostrare come Caffè e Sen non solo risultano influenzati da Calogero circa libertà individuale e giustizia sociale, ma sono andati oltre questo comune referente, individuando non solo una diade, bensì una triade, quella di libertà-giustizia-equità, grazie alla loro analisi economica, oltre che filosofica e politica.

Abstract (English)

The aim of this paper is to underline a possible influence of Guido Calogero’s liberal socialism on Federico Caffè and Amartya Sen’s notions of freedom and justice. This work has its origin since a brief, but meaningful, quotation of Giuseppe Amari in the “Afterword” of Federico Caffè. Un’economista per gli uomini comuni compared to the most important Italian intellectual debates arisen at the beginning of the XXth century:

The first (…) between Croce and Einaudi, about the relationship liberalism and liberism, (…) the second debate saw a strong comparison between Benedetto Croce and Guido Calogero; while this latter supported how without social justice, freedom was purely a statement, the former emphasized how this “pure” concept did not admit qualifications and labelled any practical contamination as ‘hircocervus’. Caffè (…) would have mentioned the second (…). Indeed, Sen himself, widower of Eugenio Colorni’s daughter, recognized the influence of the Italian liberal socialism on his thought.2

I would develop the second part of this quotation, putting Calogero within the XXth Italian debate about freedom and social justice and analysing how Caffè and Sen developed this dyad in their respective thought. The most important result of this work is to show how Caffè and Sen not only were influenced by Calogero about individual freedom and social justice, but they went beyond their common reference, finding not only a dyad, rather a triad, namely that of freedom-justice-fairness, thanks to their analysis which is economic, as well as philosophical and politic ones.

KEYWORDS (ITA/ENG): disuguaglianze, inequalities, equità, fairness, liberalsocialismo, liberal socialism, libertà freedom, giustizia, justice

“Abbiamo fame di giustizia, ma non siamo per
nulla disposti a rimanere assetati di libertà”
Guido Calogero

2. Croce e Calogero: il dibattito tra libertà e giustizia nel panorama novecentesco italiano

Il movimento liberalsocialista prende piede clandestinamente nel 1936, parallelamente alla campagna di Etiopia. Tra i suoi promotori iniziali, ci sono uomini di spicco, come Guido Calogero e Aldo Capitini.

Il Primo Manifesto del Liberalsocialismo3 risale al 1940: si tratta di una raccolta di discussioni e di dibattiti avvenuti tra il 1938 e il 1940, sui temi di libertà e di giustizia sociale, ideato come strumento di divulgazione e di mobilitazione per questo movimento, ma pubblicato solo nel 1945 nel volume Difesa del Liberalsocialismo. L’autore è Guido Calogero, paradossalmente allievo del ‘filosofo del fascismo’, Giovanni Gentile: il filosofo napoletano si è misurato con la difficoltà di diffusione di idee rivoluzionarie negli anni del fascismo, in cui erano proibite sia la libertà di espressione che di associazione, allo scopo di impedire la nascita di movimenti pericolosi per il regime. Per queste ragioni, la diffusione capillare del movimento liberalsocialista si realizza solo intorno al 1944, a ridosso della fine della guerra, caratterizzandosi per la sua connotazione antifascista postfascista, espressione della ribellione intellettuale rispetto alla fascistizzazione avutasi nel ventennio precedente.

Il liberalsocialismo si prefigge di radicare e di rinnovare il liberalismo italiano, tentando di conciliare la centralità etico-politica della libertà, presente nella riflessione di Benedetto Croce, con il bisogno di una giustizia sociale, entro una prospettiva di carattere filosofico, giuridico-istituzionale e politico. Qui si colloca il dibattito con il filosofo abruzzese rispetto alla diade libertà-giustizia. Nella prospettiva crociana, viene così contestato il legame tra questa: << diade, che ora ha molto corso, di “Libertà e Giustizia”, o, peggiorata per inversione dei termini, di “Giustizia e Libertà”. Non posso accettare quei due concetti così come si suol presentarli e raccomandarli uniti, quasi si pongano sulla tavola e si offrano, l’una accanto all’altra, due noci>>4. Croce critica la possibilità che questa diade possa essere fondamento della teoria liberalsocialista, poiché, nella sua riflessione, la giustizia riveste solamente un valore normativo in ambito economico, data la sua natura materiale, mentre la libertà incarna l’ultimo stadio dell’eticità, data la sua natura spirituale. L’incompatibilità di questa diade rispecchia l’incommensurabilità sussistente tra economia e etica, rispettivamente tra giustizia e libertà, nonché tra la dimensione materiale propria della prima e la dimensione spirituale della seconda.

Al contrario, Calogero ritiene indissolubile il legame della diade giustizia e libertà, basato sulla loro complementarità, sia sotto un profilo etico che politico-economico, rifiutando la contrapposizione tra questi due concetti derivante dalle categorie di materia e di spirito adottate da Croce. Il filosofo napoletano intende la giustizia come equa distribuzione che conduce all’uguaglianza5, frutto del comportamento non egoistico degli individui dettato dal riconoscimento dell’altro con diritti medesimi ai nostri. Luogo di realizzazione della giustizia diventa lo spazio etico-politico nel quale avviene questo processo di ‘riequilibrio’ delle disuguaglianze. A tal proposito, risulta interessante la puntualizzazione dello stesso Calogero circa la salvaguardia dell’identità personale nell’ambito del processo che conduce alla riduzione delle disuguaglianze: <<rendere uguali le sorti umane, non significa verniciare tutte le facce con la stessa vernice o portare tutti gli uomini sul metro degli individui più bassi>>6. Piuttosto, l’uguaglianza è porre in equilibrio le libertà individuali grazie a più eque condizioni di partenza, senza mai impoverire quella ricchezza derivante dalla spiccata eterogeneità delle identità personali.

Attraverso la nozione di uguaglianza si arriva a quella di equilibrio delle libertà: la libertà è tale solo se equamente ripartita, non se viene distribuita in maniera licenziosa. Si legge nell’incipit del Primo Manifesto del Liberalsocialismo :

a fondamento del liberalsocialismo sta il concetto della sostanziale unità e identità della ragione ideale, che sorregge e giustifica tanto il socialismo nella sua esigenza di giustizia quanto il liberalismo nella sua esigenza di libertà. Questa ragione ideale coincide con quello stesso principio etico, col cui metro, in ogni passato e in ogni avvenire, si è sempre misurato, e si misurerà sempre, l’umanità e la civiltà: il principio per cui si riconoscono le altrui persone di fronte alla propria persona, e si assegna a ciascuna di esse un diritto pari al diritto proprio7.

Uguaglianza e libertà vanno a coincidere con il principio etico assoluto per il quale io riconosco all’altro i miei stessi diritti, in qualità del suo essere persona. Eppure, la sola dimensione etico-morale non è sufficiente affinché, usando la terminologia calogeriana, l’ ‘io’ possa cogliere immediatamente il ‘tu’: la persuasione derivante dal dovere morale non sempre riesce a innescare quel meccanismo di riconoscimento dei diritti altrui. Ed è qui che si inserisce la valenza del diritto come ‘tutela dei diritti’, intesa come protezione istituzionale del ‘tu’: l’azione giuridica con i suoi strumenti, come il ricatto sanzionatorio, subentra quando l’individuo non comprende la semplice voce della persuasione.

In contrapposizione a Croce, Calogero prosegue evidenziando come la giustizia e la libertà risultano entrambe afferenti alla moralità, quando queste sono espressione della richiesta d’aiuto per il riconoscimento dei diritti dell’altro, come rispetto degli interessi collettivi. Al contrario, se la giustizia diventa ricerca della propria ricchezza personale e la libertà come richiesta di libertà per se stessi, appartengono all’economia, in quanto rivolti all’interesse individuale. La dicotomia che si delinea in Calogero tra etica ed economia comporta che lo spazio della prima è quello entro il quale si perseguono gli interessi collettivi, la seconda quelli individuali. Quindi, è l’intenzione a determinare se la diade giustizia-libertà possa assumere valore etico o economico, diversamente da Croce che attribuisce in maniera univoca la giustizia al dominio dell’economia e la libertà al dominio dell’etica.

3. Libertà e giustizia nella riflessione di Federico Caffè

Muovendo dal dibattito avvenuto tra Benedetto Croce e Guido Calogero, Federico Caffè affronta la diade di libertà e giustizia, posizionandosi vicino a questo ultimo a favore della compatibilità di questi due concetti. La concezione della giustizia sociale dell’economista pescarese prevede che questa sia il contenuto, la conditio sine qua non della libertà individuale, che senza di essa sarebbe semplice forma. Caffè segue Calogero, ma privilegiando il ruolo dello spazio economico per la corretta valorizzazione delle diadi di giustizia e libertà: come il filosofo napoletano, ritiene che occorra muovere dalla riduzione degli squilibri causati dal potere economico che consistono principalmente nelle disuguaglianze socioeconomiche presenti in una società. Senza una rimozione delle disuguaglianze non può esserci spazio effettivo per l’esercizio della libertà individuale, intesa come libertà politica. Da ciò scaturisce che le disuguaglianze vadano a inibire la libertà nello spazio sociopolitico. A sua volta, la libertà politica diventa metro di valutazione atto a considerare l’efficacia della giustizia politico-economica, così da poter concludere se questa sia reale o illusoria. Viceversa, la giustizia causa una estensione della libertà individuale nello spazio sociopolitico.

Certamente, il quadro storico in cui si colloca la riflessione dell’economista pescarese risulta molto complesso, segnato dal transito dall’economia internazionale all’economia globalizzata, in cui gli economisti si sono dovuti misurare e scontrare con gli effetti della crisi del capitalismo. In questo spazio, Caffè assume una posizione particolarmente critica nei riguardi del neoliberalismo: secondo l’economista pescarese, il fallimento delle economie contemporanee va individuato nella loro incapacità di conciliare la piena occupazione con il capitalismo, piuttosto che criticare solo quest’ultimo in quanto tale. Lo spirito anticapitalistico rappresenta un altro interessante punto di tangenza con il pensiero di Calogero.

A questo punto, un interrogativo sorge spontaneo: quali possono essere gli strumenti a portata della giustizia politico-economica funzionali al superamento delle disuguaglianze, così da consentire l’esercizio della libertà politica da parte dei cittadini? Federico Caffè risponderebbe così, con il riformismo economico e i contenuti costituzionali. Rispetto al primo strumento, l’economista pescarese ne parla diffusamente nella celebre intervista rilasciata a Siro Lombardini, La solitudine del riformista8. L’ obiettivo del riformismo è la valorizzazione della scelta del singolo come espressione della sua libertà: ciò è possibile attraverso l’egualitarismo che rappresenta l’antitesi del neoliberalismo, perfettamente incarnato dall’economista Francesco Ferrara, uno dei suoi referenti critici di quegli anni.

In particolare, Caffè lamenta quella sorta di ‘oltranzismo tollerante’ propria del neoliberalismo, in cui: <<si giunge a negare anche le conseguenze sociali delle disparità dei punti di partenza individuali, attribuendole unicamente a fattori biologici, genetici e di originaria dotazione intellettuale (…). Sul piano concreto, ciò si traduce nella deplorazione dell’egualitarismo “livellante” e nella difesa della meritocrazia, esaltatrice delle individualità>>9. Connesso a ciò, la meritocrazia, che rappresenta un ostacolo significativo per l’egualitarismo, nella sua incapacità di contemplare una idea di uguaglianza almeno circoscritta ai requisiti di partenza. Sempre nella critica a Ferrara, Caffè individua nella deregulation una delle principali cause dell’insorgenza dei fallimenti di mercato, il tutto innanzi a uno Stato sempre più impotente nella sua capacità di attuare interventi correttivi volti ad arginare i costi sociali, emblematici di quell’involuzione derivante dallo spontaneismo proprio del mercato neoliberale.

Dalla critica a Ferrara, si può ben comprendere che Caffè fosse uno dei pochi, se non l’unico economista di quegli anni, a intendere il neoliberalismo come un’apologia reazionaria di una concezione oramai datata del mercato10, per i limiti testé analizzati, in cui i più potenti continuano ad arricchirsi sulle spalle dei più deboli. Nel caso specifico italiano, la persistenza delle disuguaglianze va individuata principalmente nella mancata piena occupazione e nell’iniqua distribuzione delle risorse, entrambe riconducibili, a loro volta, al radicamento del neoliberalismo. Secondo Caffè, questa tendenza va contrastata, avendo favorito un clima di scetticismo sulla legittimità dell’intervento statale a correzione dei fallimenti di mercato, procedendo alla promozione del processo di deregulation dei mercati, nonché della privatizzazione delle imprese pubbliche.

A fronte di questa molteplicità di fenomeni, occorre l’avvento del riformista, il quale:

è convinto di operare nella storia, ossia nell’ambito di un ‘sistema’, di cui non intende essere né l’apologeta, né il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretizzabili nel immediato e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazioni radicale del ‘sistema’/ Il riformista è anche consapevole che alla derisione di chi lo considera un impenitente tappabuchi (o, per cambiare immagine, uno che pesta l’acqua nel mortaio), si aggiunge lo scherno di chi pensa che ci sia ben poco da riformare, né ora né mai, in quanto a tutto provvede l’operare spontaneo del mercato, posto che lo si lasci agire senza inutili intralci: anche di preteso intento riformistico.11

Il riformista opera nei limiti delle sue possibilità, consapevole che il cambiamento può realizzarsi, ma in maniera graduale, in due momenti distinti e complementari, avvalendosi dell’eclettismo utopico12: da un lato, occorre cambiare la prospettiva assunta dalla classe politica e dagli economisti rispetto al capitalismo, considerandolo nella sua contingenza storica, non ideale; dall’altro lato, bisogna consentire il dialogo tra fatti e idee, con il risultato che le idee prevarranno sui fatti in futuro, così come si può leggere nella riflessione di Einaudi, illustre esponente della scuola torinese di economia, in polemica con l’immutabilità sulla quale poggiano teorie come quelle materialistiche di matrice marxista.

Le discipline privilegiate per la realizzazione del riformismo nello spazio politico-economico, in quanto strumenti di attualizzazione dell’eclettismo utopico, corrispondono all’economia, all’etica e alla storia, entro un approccio interdisciplinare. L’economia è il fondamento e la fonte dei fenomeni sui quali riflettere e discutere; l’etica dispone dei criteri per la valutazione dei fenomeni economici, andando oltre gli aspetti quantitativi di cui si occupa l’economia, contemplando la responsabilità etica dell’agire degli agenti economici i quali, pur nello spazio economico, restano pur sempre agenti, dunque passibili di una valutazione delle loro azioni sotto un profilo etico-morale; infine, la storia, che custodisce la memoria degli eventi passati, fornisce la genesi dei fenomeni attuali e può assumere persino valore previsionale rispetto al futuro, tenendo conto del susseguirsi degli eventi lungo l’asse temporale.

Rispetto al secondo strumento per il superamento delle disuguaglianze, Caffè si riferisce ai contenuti costituzionali. In realtà, la Costituzione è parte del processo di riforma atto a orientare la classe politica per la promozione di una civiltà possibile governata secondo giustizia, conformemente a un processo che si potrebbe definire come ‘innovazione all’insegna della tradizione costituzionale’. La componente innovativa è rappresentata dall’adozione dell’eclettismo utopico, mentre quella tradizionale dai contenuti della Costituzione. Caffè si pronuncia in difesa di quest’ultima in occasione del ventesimo anniversario per l’Assemblea costituente, 1969, con un intervento intitolato Un riesame dell’opera svolta dalla Commissione economica per la Costituente13, avendo partecipato all’epoca alla redazione dei lavori sotto la guida di Giuseppe Demaria. L’economista pescarese vuole ricordare due uomini che hanno partecipato alla Costituente: da un lato, Piero Ottone, che vedeva nella figura di Alcide de Gasperi uno dei cardini della politica del Dopoguerra, che ha tentato di riportare l’Italia indietro rispetto al ventennio fascista, ispirandosi al modello economico elvetico, nel quale convivevano piccoli proprietari e cooperative di lavoratori; dall’altro lato, Marcello De Cecco, esaltava la figura di Einaudi, come chiave di lettura del quadro economico italiano, anch’egli sostenitore del modello elvetico. Quindi, il merito di Ottone e di De Cecco è quello di aver rispettivamente individuato il riferimento politico, quale De Gasperi, ed economico, quale Einaudi, per la ricostruzione in seno alla Costituente.

Questi riferimenti incontrano gli interessi di Caffè, in particolare, la figura di Einaudi, poiché prossima alla riflessione dell’economista elvetico, Wilhelm Roepke14. Quest’ultimo auspicava alla nascita di una sorta di ‘umanesimo economico’, in cui l’interesse principale è rappresentato dalla promozione del libero svolgimento dell’umanità. Questo approccio è definito dallo stesso Roepke come ‘terza via’ rispetto al liberalismo e al socialismo15, superando l’antitesi tradizionale tra questi due concetti, dando vita a una concezione dello spazio politico-economico in cui è difeso sia il libero mercato che la ‘democrazia di consumo’, quest’ultima intesa come libertà relativa alle scelte di consumo. Accanto a ciò, la crisi economica contemporanea ha richiesto un approccio più umano allo spazio economico, esortando a un uso più moderato dei meccanismi di automazione, per ridurre i costi umani in termini occupazionali, e contemplando fabbriche di più piccole dimensioni e con minori capacità produttive, per risollevare le sorti delle piccole e medie imprese. Caffè recupererà questa centralità dell’umano come oggetto privilegiato dell’economia nel noto articolo apparso su “Micromega” nel 1986, intitolato Umanesimo del Welfare16, nel quale lamenta il processo di disumanizzazione del welfare sacrificato per la realizzazione del processo di risanamento economico avvenuto negli anni Ottanta.

A partire da questi autorevoli referenti presenti ai lavori costituzionali, in linea con un umanesimo economico, la Costituzione può favorire il superamento delle disuguaglianze in una repubblica democratica, attraverso la rimozione degli: <<ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.>>17, nonché riconoscendo: <<a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto>>18. Indubbiamente, la Costituzione rappresenta uno degli indiscussi capisaldi della politica economica di Caffè in tutta la sua vasta produzione. Dopo anni di silenzio, riconducibili alla sua vocazione sacerdotale, anche l’amico di sempre dell’economista pescarese, alias Giuseppe Dossetti, convinto democristiano, torna a difendere appassionatamente la Costituzione. In particolare, egli insisteva sullo spirito che aveva animato il gruppo di lavori della Costituente, ossia quello dell’equità che va ben oltre la profonda eterogeneità delle ideologie politiche di fondo condivise dai singoli componenti del gruppo di lavori: la volontà di una maggiore equità coincide con la capacità di un politico di andare oltre gli ideali di partito per abbracciare concretamente l’obiettivo del benessere collettivo, il quale risulta preminente rispetto agli stessi valori del proprio schieramento politico di appartenenza. In questo senso, una delle peculiarità della Costituzione italiana è quella di essere riuscita a far convivere armonicamente ben quattro distinte tradizioni politiche, quali quella cattolica, comunista, liberale e socialista. L’attività di mediazione svolta da Dossetti non si è limitata al semplice compromesso, così come spesso la politica richiede, bensì ha azzardato dei punti di sintesi culturale19, di cui la Costituzione ne è diventata l’emblema. Nonostante la diversità di queste posizioni, il loro trait d’union è rappresentato dall’urgenza di ricostruire un’Italia devastata dagli esiti delle due Guerre su principi come quelli di civiltà e di umanità, i quali si collocano al di sopra degli ideali di partito, afferendo direttamente al benessere collettivo.

Infine, si vuole concludere questo approfondimento dedicato alla diade giustizia e libertà in Federico Caffè facendo riferimento al suo rifiuto del trade-off tra equità ed efficienza che lo conducono verso una nuova triade di libertà-equità-giustizia. Tale rifiuto sorge dall’inaccettabilità che una maggiore efficienza debba procedere dal sacrificare la giustizia sociale, quindi richiedendo ai cittadini di sostenere un costo troppo grande. Nel non facile contesto economico e sociale del dopoguerra, Caffè rifiuta l’economia del benessere di matrice paretiana20, affermando che:

non esiste un problema della distribuzione che non sia al tempo stesso problema di ‘equa distribuzione’. La corrispondenza del riparto a ciò che la coscienza sociale considera come ‘equo’ non può rinviarsi ad un ‘secondo momento’ mediante l’attuazione di processi redistributivi, ma deve essere garantita all’atto stesso in cui si organizza la produzione e nelle forme stesse in cui questa si realizza. Mantenere su due piani distinti il problema tecnico della produzione e quello sociale dell’equa distribuzione significa praticamente lasciare insoluto quest’ultimo come dimostra il fatto che la libertà dal bisogno, l’attenuarsi delle disparità economiche individuali, l’uguaglianza delle possibilità sono ancora oggi mete da raggiungere, pur essendo aspirazioni antichissime21.

Come si può leggere in questo bel passaggio, il rifiuto del trade-off tra equità ed efficienza è innanzitutto un richiamo a ridestare la coscienza sociale, la quale valuta e garantisce l’equità dell’organizzazione, sia produttiva (quindi, tecnica) che distributiva (ovvero, di natura socio-economica), così da condurre a una democrazia industriale. Così, l’efficienza andrà a coincidere proprio con l’equità, anziché con l’ottimo paretiano. Quindi, dalla riduzione delle disuguaglianze attraverso una maggiore equità nella distribuzione delle risorse, si possono creare quelle condizioni per l’esercizio delle libertà individuali, estendendo, a sua volta, la giustizia sociale. In questo circolo virtuoso, si può vedere come la diade calogeriana di libertà e giustizia, possa diventare una triade, grazie alla considerazione dell’equità in ambito economico.

4. Libertà e giustizia nella riflessione di Amartya Sen

Invece, la modalità con la quale Sen entra in contatto con il liberalsocialismo di Calogero è profondamente diversa da quella di Caffè, in quanto risulta autobiografica, prima ancora che intellettuale. Come si può leggere nel saggio La libertà individuale come impegno sociale22, 1999, Sen conosce la politica italiana attraverso gli occhi di Eva Colorni, sposata nel 1973 e scomparsa prematuramente nel 1985, a causa di un tumore allo stomaco. Dalle pagine di questo saggio traspare tutto l’entusiasmo con il quale l’economista e filosofo indiano guarda alla politica italiana, antiautoritaria e socialmente impegnata. Certamente, Sen ha potuto beneficiare di una prospettiva non comune, quale quella della famiglia Hirschman-Colorni-Spinelli, uomini di singolare sensibilità politica, in cui dominano gli ideali di matrice socialista: per la precisione, Eva è la figlia di Eugenio Colorni, filosofo e martire della Resistenza italiana, e di Ursula Hirschman, anch’ella socialista e internazionalista. In seconde nozze, la Hirschman sposa Altiero Spinelli, ideologo del Movimento Federalista Europeo, uno dei padri della futura Unione Europea, con il quale Sen ha avuto confronti personali molto significativi sul tema della libertà. Eva Colorni è la sintesi di questo ricco retroterra, culturale e umano, che si manifestava nella sua preoccupazione per la tutela delle libertà delle persone più svantaggiate, in quanto la persistenza delle disuguaglianze fa versare gli uomini in una condizione molto simile a quella della schiavitù. Alla stregua di Caffè, Sen ha a cuore il problema delle disuguaglianze: nella sua teoria della giustizia sociale possono essere rintracciati numerosi elementi affini al pensiero etico-politico di Guido Calogero, non solo la complementarità tra giustizia sociale e libertà individuale, ma l’egualitarismo, la necessità di superamento dell’egoismo e l’impegno sociale.

Sin dalla fine degli anni Sessanta, prima dell’incontro con la Colorni, Sen si interessa alla questione della giustizia sociale, basti pensare alla sua frequenza di un corso su questo tema in compagnia di illustri colleghi del calibro di Arrow e di Rawls. In quel frangente, Sen stava lavorando a The Impossibility of a Paretian Liberal23, 1970, mentre Rawls era impegnato con il suo capolavoro, A Theory of Justice24, 1971. In questo articolo, Sen si confronta con il problema della conciliazione delle preferenze individuali nelle decisioni collettive, anticipando Rawls sia circa la preminenza della nozione di giustizia su quella di bene che la possibilità di un liberalismo che tenga conto delle libertà individuali, non solo quelle di mercato. Prima di Sen, il problema della conciliazione delle preferenze individuali nelle decisioni collettive era stato affrontato da Arrow in Social Choice and Individual Values25, 1951, pervenendo all’impossibilità logica di una democrazia rappresentativa, ma il limite di questa pur acuta analisi è stato quello di non aver colto le implicazioni etiche connesse alle limitazioni di libertà individuale derivanti da questo risultato logico.

Diversamente da Arrow, l’economista e filosofo indiano si sofferma sull’incompatibilità del criterio d’efficienza paretiano con questa sua peculiare nozione di liberalismo. Quest’ultima è intesa da Sen in maniera diversa dall’accezione tradizionale del termine, come rispetto generale delle libertà minime dei cittadini, ignorate dall’analisi arroviana. Questa valorizzazione della libertà individuale nella teoria delle decisioni segna un passaggio significativo nella storia del pensiero economico in direzione del ritorno ad una considerazione delle implicazioni etiche sottese alle questioni economiche. Si tratta di una significativa inversione di tendenza rispetto al processo di economizzazione che sta caratterizzando lo scenario degli ultimi anni : <<con la logica che gli è propria, tende a estendersi anche ad ambiti extra-economici: attraverso il cosiddetto “imperialismo economico” anche ambiti di vita tendenzialmente caratterizzati da logiche a-economiche, o addirittura anti-economiche, vengono interpretati alla luce del criterio di efficienza e dell’analisi costi-benefici>>26, ma sul quale non entreremo nel merito per non allontanarci dai fini di questo lavoro. Sicuramente, l’aspetto pionieristico di questo articolo va rintracciato nella introduzione che Sen fa dei diritti nella teoria delle scelte sociali, in vista della promozione delle libertà individuali27; seppur questa sia solo una introduzione, ciò conferma la portata innovativa riflessione etico-economica seniana nel panorama dell’epistemologia economica di quegli anni28.

Nel corso degli anni Novanta, Sen propone la sua teoria della giustizia sociale in uno dei suoi più saggi più noti, Development as Freedom, 1999, esprimendo in maniera più dettagliata la relazione tra giustizia sociale e libertà individuale. A differenza di The Impossibility of a Paretian Liberal, l’incontro con la famiglia Hirschman-Colorni-Spinelli è già avvenuto: quindi, non si può escludere un contributo importante, seppur non esclusivo, del pensiero liberalsocialista, secondo la declinazione proposta dal filosofo napoletano. Tra gli elementi di maggiore novità di questa teoria della giustizia sociale, c’è lo slittamento compiuto da Sen rispetto alle riflessioni sul benessere a lui contemporanee, ossia quello from welfare to well-being29. Tale slittamento consiste nel passaggio da una considerazione del benessere esclusivamente materiale, espresso attraverso funzioni di utilità (come presso gli utilitaristi) o possesso di beni primari (come in Rawls), a una considerazione del benessere anche qualitativa, rappresentativa dei risultati socioeconomici conseguiti dagli individui, non alla semplice soddisfazione materiale dei bisogni.

Per esprimere questa concezione qualitativa del benessere, Sen ricorre al suo capability approach: nonostante la complessità e la ricchezza semantica del termine capability, è sufficiente soffermarsi sulla sola accezione di strumento informativo delle libertà acquisite da un individuo o da una certa comunità di riferimento. In questo spazio, si può introdurre il concetto di sviluppo, il quale: <<comporta l’espansione di queste e altre libertà di base; anzi, lo sviluppo così inteso, è il processo di espansione delle libertà umane, ed è a questa considerazione che occorre ispirarsi per valutarlo.>>30 Tale processo è foriero di una condizione di well-being,diffusa e generalizzata, capace di superare le disuguaglianze socioeconomiche, assumendo una portata collettiva e maggioritaria, mai appannaggio del singolo o di un piccolo gruppo di membri di una certa popolazione. Nel dettaglio, la libertà assume un duplice ruolo nel processo che conduce allo sviluppo: da un lato, ‘costitutivo’, intrinseco, in veste di obiettivo primario di tale processo, attinente: <<all’importanza delle libertà sostanziali per l’arricchimento della vita umana; le libertà sostanziali comprendono capacitazioni elementari, come l’essere in grado di sfuggire a certe privazioni- fame acuta, denutrizione, malattie evitabili, morte prematura-nonché tutte le libertà associate al saper leggere, scrivere e far di conto, al diritto di partecipazione politica e di parola (…)>>31; dall’altro lato, ‘strumentale’, mezzo per lo sviluppo. In questo senso, le tipologie di libertà strumentali più importanti risultano essere quelle: <<1. le libertà politiche; 2. le infrastrutture economiche; 3. le occasioni sociali; 4. le garanzie di trasparenza; 5. la sicurezza protettiva>>32 Questo duplice ruolo della libertà fa sì che essa risulti contemporaneamente mezzo e fine dello sviluppo. Il legame tra giustizia-sviluppo-libertà risulta così delineato: per la realizzazione della giustizia sociale è necessario avvenga una espansione complessiva delle libertà reali, sintomatica del processo di sviluppo che sta interessando una certa comunità di riferimento, in un circolo virtuoso in cui tutti questi elementi si richiamano a vicenda.

La relazione tra giustizia-sviluppo-libertà poggia su chiari ideali egualitaristici, intesi da Sen in termini sia etici che economico-quantitativi, differenziandosi per questo dall’analisi eminentemente filosofica condotta da Calogero. Nello spazio politico-economico dell’economista e filosofo indiano, l’egualitarismo non implica che i policy makers debbano attuare delle strategie per condurre a un livellamento di reddito tra i membri di una stessa comunità di appartenenza. Piuttosto, il superamento delle disuguaglianze prevede che il loro compito sia limitato alla creazione di occasioni sociali, ovvero di opportunità di sviluppo nelle nazioni meno sviluppate, affinché gli individui possano raggiungere quelle libertà minime per condurre una esistenza dignitosa. Sin dagli anni Settanta, Sen si è misurato più volte con le questioni redistributive33, così come sul concetto di uguaglianza. Circa quest’ultimo, Sen si confronta con gli utilitaristi e Rawls nel suo celebre intervento seminariale, Equality of What?, 1979: circa i primi, non conta la distribuzione, ma solo la massimizzazione totale della sommatoria delle utilità individuali; per il secondo, l’uguaglianza può realizzarsi attraverso una semplice redistribuzione di beni primari secondo il criterio del maximin. Invece, l’economista e filosofo indiano esprime l’uguaglianza nei termini delle già citate capacitazioni elementari o basic capabilities, ovvero come la <<capacità di una persona di fare certe cose fondamentali>>34. Si tratta della sua prima introduzione esplicita del capability approach. Qui, l’uguaglianza è intesa non in termini materiali, ma come l’adozione di una decisione collettiva, forse, non capace di rappresentare tutte le singole preferenze, ma in grado di creare le condizioni per l’acquisizione delle libertà minime per il maggior numero di membri di una certa comunità di riferimento.

In linea generale, le capacitazioni desiderabili dagli individui risultano profondamente diverse tra loro35, in quanto condizionate dalla spiccata eterogeneità e mutevolezza delle preferenze e dei valori individuali. Circa l’eterogeneità risulta condizionata, da un lato, dalla situazione individuale di partenza, dalla dotazione di beni e di servizi di cui un individuo dispone, dal proprio contesto sociale e ambientale di riferimento; dall’altro lato, il ruolo giocato dai valori che condizioneranno le decisioni individuali, ovvero se scegliere di perseguire egoisticamente la propria gerarchia di preferenze/bisogni oppure tener conto delle gerarchie altrui e modificare, di conseguenza, le proprie scelte. Quanto alla mutevolezza delle preferenze e dei valori individuali, dipende dal fatto che questi non resteranno mai uguali nel tempo, come effetto del costante cambiamento che interessa sia l’individuo che la realtà a lui circostante.

Al contrario, le capacitazioni elementari (o di base) vanno oltre le eterogeneità individuali, rappresentando quell’insieme di libertà minime eticamente accettabili e indistintamente desiderabili in qualsiasi parte del globo. In ambito politico-economico, questo insieme di capacitazioni diventa obiettivo-soglia, oltre che strumento informativo delle libertà conseguite dagli individui, come si è già visto: al di sotto del quale, si dice che le popolazioni siano scandalosamente deprivate, mentre, al di sopra del quale, le disuguaglianze socioeconomiche sono ammissibili, non trattandosi di una forma di egualitarismo ‘livellante’, ma liberale, secondo l’accezione tradizionale del termine36. Affinché si possa raggiungere questo obiettivo-soglia, conformemente a una giustizia sociale che voglia definirsi equa e sviluppata, l’economista e filosofo indiano ritiene che i soli meccanismi di mercato siano insufficienti.

Non diversamente da Caffè, Sen manifesta un certo scetticismo nei confronti nei meccanismi di mercato neoliberali, ma seguendo argomentazioni diverse, le quali sono state criticate proprio dallo stesso economista pescarese37: interrogandosi sullo statuto morale del mercato, egli afferma che questo può essere superiore ad altre pratiche, tuttavia, manifesta numerose debolezze e il suo ruolo potrebbe essere sostituito, in certi campi, da procedure più funzionanti, secondo Sen. Senza entrare nel merito di queste ultime, ciò significa che il mercato vada limitato e i suoi funzionamenti corretti attraverso l’intervento statale, ma limitatamente a quelle nazioni meno sviluppate che non riescono a raggiungere quell’obiettivo-soglia di libertà minime per tutti i membri di una certa comunità di riferimento38. Qui, lo Stato dovrà intervenire con attività di regolamentazione e politiche ad hoc funzionali alla correzione dei fallimenti di mercato, ma senza mai prevedere misure assistenzialistiche39. In amichevole polemica con Sen, riferendosi proprio a The Moral Standing of the Market, Caffè ritiene non sia sufficiente evidenziare le debolezze del mercato in termini empirici (come nell’analisi che l’economista e filosofo indiano fa dell’origine del mercato del lavoro, come esempio di affermazione del lavoro libero) o cercare la moralità nel mercato: piuttosto, la moralità dovrebbe semplicemente ispirare l’integrità intellettuale per condurre simili ricerche.

Tuttavia, non diversamente da Caffè, si assiste a una prospettiva fortemente interdisciplinare, in cui la politica prende il posto della storia: l’etica è il limite dell’agire degli individui nel mercato, la politica diventa il limite dei meccanismi del mercato, richiamando quella relazione tra etica, economia e politica sostenuta in On Ethics and Economics40, per cui l’economia coopera con le altre discipline pratiche in vista del bene comune, in qualità di ancella della politica.

La polemica di Sen nei confronti del neoliberalismo si spinge fino ad aspetti di carattere antropologico, come emerge dalla sua critica all’homo oeconomicus neoclassico, il quale ha trovato proprio nel neoliberalismo il suo habitat naturale. L’economista e filosofo indiano sviluppa questa critica in una pluralità di interventi, come Rational Fools41, 1977, e Goals, Commitment and Identity42, 1985. Nel periodo compreso tra gli anni Settanta e Ottanta, in ambito economico, il paradigma antropologico dominante è, appunto, quello dell’homo oeconomicus: senza entrare nel merito delle diverse varianti di questo paradigma43, in termini generali, si può affermare che tale rappresentazione degli agenti economici prevede che la loro razionalità sia economica e perfetta. Conformemente a ciò, le decisioni individuali vengono intraprese coerentemente al proprio ordinamento di preferenze e ad alcuni assiomi di razionalità predefiniti44, al fine di massimizzare egoisticamente l’utilità del singolo, trascurando le conseguenze connesse alle proprie azioni o le disuguaglianze in una certa comunità di riferimento, in uno scenario di avalutatività morale. Qualsiasi comportamento difforme dal self-interest viene classificato come ‘irrazionale’. Prossimo alla più autentica tradizione smithiana, Sen vuole restituire una legittimità in sede economica a comportamenti non egoistici, come quelli dettati dalla sympathy e dal commitment, rispettivamente, la simpatia che un individuo può nutrire nei confronti dell’altro e l’obbligazione morale come preminenza dei valori sul benessere individuale, senza per questo vedere negata o diminuita in qualche modo la razionalità dell’agente economico. Dietro l’espansione del bacino dei moventi dell’agire, si può rintracciare un tentativo di riconciliazione tra razionalità economica e razionalità etica, derivante dal suo rifiuto del paradigma neoclassica per il quale tutti i comportamenti non egoistici siano sinonimo di irrazionalità45.

Tuttavia, si ritiene che lo scarto tra sympathy e commitment vada ulteriormente chiarito: <<se la conoscenza che gli altri vengano torturati è fonte di disgusto, allora questo è un caso di simpatia; se ciò non ci fa sentire personalmente peggio, ma pensiamo sia sbagliato torturare delle persone e siamo pronti a fare qualcosa per impedire che ciò accada, allora siamo di fronte a un caso di obbligazione.>>46 Dunque, la sympathy è immedesimazione con l’altro, assumendo una connotazione psicologica, mentre la sua valenza etico-morale è controversa, essendo un movente intermedio tra l’egoismo e il commitment, ossia un comportamento egoistico camuffato da preferenze apparentemente altruistiche. Ciò è confermato nell’ordine delle conseguenze, in quanto comportamenti ispirati alla sympathy producono un miglioramento del benessere di chi le compie. Al contrario, il commitment rigetta l’eterogenesi dei fini propria dell’homo oeconomicus: da questo rifiuto, segue una forma di impegno sociale innanzi alle ingiustizie perpetrate nei confronti del genere umano. Ciò si traduce in una disponibilità dell’individuo ad intervenire personalmente in questo senso, a scapito del proprio stesso benessere, rifiutando moventi egoistici.

Infine, si vuole riflettere sulla triade di libertà-equità-giustizia in Sen: pur avendo articolato e sviluppato in maniera diversa rispetto a Caffè il delicato rapporto tra la diade di libertà e giustizia, anch’egli condivide il rifiuto del trade-off tra equità ed efficienza proprio dell’economia del benessere a lui contemporanea. Come si visto in The Impossibility of a Paretian Liberal, l’efficienza paretiana è un ostacolo per la promozione delle libertà individuali, la quale consentirebbe di raggiungere una condizione di uguaglianza tra i membri di una certa comunità di riferimento, nei termini più volte evocati. L’equità entra a pieno titolo nella teoria della giustizia sociale di Sen grazie al processo di sviluppo: l’espansione delle libertà individuali che consente la realizzazione della giustizia sociale è resa possibile da un processo di sviluppo che è per definizione ‘equo’, in quanto la contestuale espansione delle libertà individuali è una dinamica di convergenza verso quell’obiettivo soglia libertà minime desiderabili da tutti.

5. Conclusioni

Si vuole concludere questo lavoro evidenziando come, pur indipendentemente, in modi e in misura diversi, Caffè e Sen siano pervenuti a un superamento del loro possibile comune referente, attraverso l’elaborazione non di una diade, ma di una triade di libertà-equità-giustizia. Una simile opportunità deriva dalla contestualizzazione di queste diadi in ambito economico, potendo cogliere come l’equità, sostituente l’efficienza paretiana, sia un anello di congiunzione indispensabile affinché la promozione delle libertà individuali possa consentire la realizzazione della giustizia sociale. In queste riflessioni conclusive, si vogliono evidenziare le rispettive peculiarità di elaborazione di questa triade. Nella fattispecie, in Caffè, l’equità sorge dal rifiuto del trade-off tra equità ed efficienza e dal ridestarsi della coscienza sociale, assumendo valore distributivo e produttivo in ambito economico. Sempre entro il rifiuto del trade-off tra equità ed efficienza, Sen vede il processo stesso dello sviluppo come equo, perché attraverso esso si assiste a quell’espansione delle libertà individuali che consentono la realizzazione della giustizia sociale.

Probabilmente, le più vistose differenze tra i due autori verso l’elaborazione di questa triade sono rappresentate, da un lato, dagli strumenti impiegati per il raggiungimento dell’equità, dall’altro lato, sul diverso contesto in cui si inserisce il concetto di democrazia a essa connessa. Circa la prima, Caffè punta sul riformismo economico e sui contenuti costituzionali; dall’altro lato, Sen privilegia la creazione di occasioni sociali, come opportunità di sviluppo, nelle nazioni meno sviluppate da parte dello Stato. L’economista pescarese nutre una sostanziale fiducia negli strumenti giuridici a disposizione dello Stato per il superamento delle disuguaglianze, nella fattispecie, facendo riferimento alla tradizione costituzionale italiana, nonché facendo leva su un approccio eclettico, interdisciplinare, in cui sono frequenti i richiami al valore della storia come maestra e monito per i tempi moderni; diversamente, Sen crede maggiormente nel ruolo della politica economica, in cui lo Stato adempie a un duplice ruolo, creativo e correttivo: creativo di occasioni sociali, per lo sviluppo socioeconomico delle nazioni meno sviluppate; correttivo, rispetto ai fallimenti di mercato, per contenere i costi sociali, ma senza mai adottare misure assistenzialistiche per la riduzione delle disuguaglianze. Quanto alla seconda differenza, Sen ritiene necessario uno stretto rapporto tra democrazia e economia vada contestualizzato nello spazio politico, ritenendo che la capacità di concettualizzare i bisogni economici passi necessariamente dal dibattito e dalla discussione pubblica, ragion per cui tali bisogni passano per una urgente richiesta di libertà politiche: ancora una volta, è la politica una delle vie privilegiate per la risoluzione delle problematiche economiche47. Invece, Caffè contestualizza il rapporto tra democrazia e economia nella storia, poiché è in quel contesto che sorgono i problemi da affrontare e in cui vanno trovati gli strumenti per la loro risoluzione. È grazie al valore che assume la storia, prima della politica, che l’economista pescarese arriva ad affermare che qualsiasi attività di programmazione democratica, deve nascere ‘dal basso’, impegnando indistintamente enti e persone, ricordando il fallimento delle forme centralistiche di programmazione avutesi nel Dopoguerra italiano48.

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1 G. Amari e N. Rocchi, “Postfazione.Federico Caffè: la vita come progetto” in (a cura di) G. Amari, N. Rocchi, Federico Caffè. Un economista per gli uomini comuni, Ediesse, Roma, 2007, cit., p. 1019.

2 G. Amari e N. Rocchi, “Postfazione.Federico Caffè: la vita come progetto” in (a cura di) G. Amari, N. Rocchi, Federico Caffè. Un economista per gli uomini comuni, Ediesse, Roma, 2007, cit., p. 1019. The translation is mine.

3 G. Calogero, “Primo Manifesto del Liberalsocialismo”in (a cura di) M. Schiavone, D. Cofrancesco, Difesa del liberalsocialismo ed altri saggi, Marzorati Editore, Milano, 1972.

4 B. Croce, Revisione filosofica dei concetti di “libertà” e di “giustizia”, “La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia da B. Croce”, 41, 1943, cit., p. 277.

5 L’uguaglianza invocata da Calogero differisce sia da quella illuministica che da quella rousseauiana perché muove da una constatazione più radicale: non essendo uguali per natura, gli uomini devono essere tali almeno in sede morale. Questo processo ha iniziato nel riconoscimento della libertà non solo del singolo, ma di quella altrui. Da qui scaturisce la necessità di una limitazione della libertà individuale nello spazio del ‘tu’, a seguire quello dell’altro (inteso come terzo), fino a estendersi all’umanità tutta, secondo una dinamica che procede dalla dimensione locale a quella globale. Così, l’uguaglianza diventa sinonimo di ‘libertà giusta’, nozione sottesa a quella stessa crasi da cui segue il termine ‘liberalsocialismo’, come la libertà finisce per diventare il sentimento del limite. Tuttavia, tale dinamica di limitazione della libertà individuale deve essere reciproca, per non rischiare di sfociare nell’utilitarismo, in cui si assiste a una umanità morale sorta per contratto e non per donazione, quindi restituendo una ‘relazionalità’ dal carattere eminentemente strumentale. A partire dalla reciprocità, invece, si ha una limitazione della libertà che assume sia valore individuale, poiché compiuto dal singolo, che universale, perché volano di una educazione morale capace di migliorare l’umanità tutta, così come ben descritta da G. Parodi, Guido Calogero dal liberalsocialismo al riformismo, “Etica&Politica”, XIV, 1, 2012, pp. 344- 464.

6 G. Calogero, Difesa del Liberalsocialismo, Atlantica, Roma, 1945, cit., p. 16.

7 G. Calogero, Primo Manifesto del Liberalsocialismo, cit., p. 199.

8 Cfr. S. Lombardini, “Caffè. L’economista riformista” in (a cura di) G. Amari, N. Rocchi, Un’economista per gli uomini comuni, Ediesse, Roma, 2007, pp. 688-699.

9 F. Caffè, “Il Neoliberalismo contemporaneo e l’eredità intellettuale di Francesco Ferrara” in (a cura di) P. Ramazzotti, In difesa del welfare state, Rosenberg&Sellier, Torino, 2 ed., 2014, cit., p. 58.

10 Cfr. M. Tiberi, The Reformism of Federico Caffè, “G.&L.E.R.”, 18, 2, 2014, pp. 203-215.

11 S. Lombardini, “Caffè. L’economista riformista”, cit., p. 688.

12 L’eclettismo utopico di Caffè è frutto della sua rilettura di Keynes, nonché dell’influenza esercitata sul suo pensiero da autori come Marx, Ricardo, Smith e Walras, finalizzata a individuare un metodo di indagine valido da mettere a servizio della politica economica per la realizzazione dell’obiettivo di una civiltà possibile. Il metodo eclettico è quello per cui la disciplina economica diventa luogo di dialogo tra fatti e idee, reso possibile dal dialogo tra una pluralità di discipline come la storia e l’etica, come si vedrà meglio di seguito, così da consentire una lettura pregnante della complessità della realtà contemporanea tale da consentire l’individuazione di strumenti adatti alla risoluzione parziale di queste problematiche. Per maggiori approfondimenti sul tema, si rimanda a M. Poettinger, Civilization as the diffusion of Eclecticism, “G.&L.E.R.”, 18, 2, 2014, pp. 145-161.

13 Cfr. F. Caffè, “Un riesame dell’opera svolta dalla Commissione economica per la Costituente”, in F. Caffè, La dignità del lavoro, Castelvecchi Editore, Roma, 2016.

14 Cfr. W. Roepke, Umanesimo liberale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000.

15 Altre caratteristica di questa terza via è che si presenta come anti monopolistica, ritenendo che queste forme di organizzazione del mercato vadano a ostacolare l’esercizio della libertà sia del produttore del consumatore, che come critica rispetto al welfarismo eccessivo, affinché le politiche sociali non vadano a interferire con libero funzionamento di mercato.

16 Cfr. F. Caffè, Umanesimo del Welfare, “Micromega”, 1, 1986, pp. 116-127.

17 Costituzione della Repubblica Italiana, G.U., 27 dicembre 1947, n. 298, cit., p. 4.

18 Ibidem.

19 Cfr. M. Cartabia, La Fabbrica della Costituente: Giuseppe Dossetti e la finalizzazione delle libertà, “Quaderni Costituzionali”, XXXVII, 2, 2017, pp. 471-483.

20 Quando si parla di criterio d’efficienza paretiano ci si riferisce a un concetto introdotto dall’economista Vilfredo Pareto. Conformemente a questo criterio, si realizza una allocazione delle risorse ottima o Pareto-efficiente quando non è possibile migliore la condizione di un individuo senza peggiorare quella di almeno un altro. Esempi di ottimo paretiano sono la concorrenza perfetta oppure il monopolio con discriminazione perfetta. Probabilmente, l’aspetto più annoso connesso a questo criterio è il trade off a cui conduce, in quanto l’efficienza va a scapito dell’equità: difatti, lo Stato è costretto ad applicare imposte distorsive al fine di garantire una allocazione Pareto-efficiente.

21 F. Caffè, “Non basta produrre”in Aspetti di un’economia in transizione, Roma, ottobre 1945, citato in (a cura di) G. Amari, Federico Caffè, un economista per la Costituzione e un profeta del Capitalismo “storico”, Intervento al seminario Filosofia della Ricchezza: riflessioni sull’economia contemporanea. “Meditazioni Riminesi”, XI, 2009, Rimini, 19 marzo 2009, cit., pp.3-4.

22 Cfr. A. Sen, La libertà individuale come impegno sociale, Laterza, Bari, 2019, 3° ed.

23 Cfr. A. Sen, The Impossibility of a Paretian Liberal , “Journal of Political Economy”, 78, 1, 1970, pp. 152-157, trad. it., (a cura di) S. Zamagni, “L’impossibilità di un liberale paretiano” in Scelta, benessere, equità, il Mulino, Bologna, 2005, pp. 279-286.

24 Cfr. J. Rawls, A Theory of Justice, Harvard University Press, Cambridge, 1971, trad.it (a cura di) S. Maffettone, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 2004, IX ed.

25 Cfr. J. K. Arrow, Social Choice and Individual Values, John Wiley&Sons, New York, 1951, 2ed, 1963.

26 B. Giovanola, Oltre l’homo oeconomicus, lineamenti di etica economica, Orthotes, Napoli-Salerno, 2013, cit., p. 17.

27 Cfr. W Gaertner, K. Suzumura, K. Pattanaik, Individual Rights Revisited, “Economica”, 59, 234, 1992, pp. 161-177.

28 Invece, Rawls ha anticipato Sen nell’individuazione dell’equità come principio per la formulazione di nuova teoria della giustizia, la quale ha valore eminentemente ‘sociale’, intesa come: “uno standard rispetto al quale vengono valutati gli aspetti distributivi della struttura fondamentale della società” (J. Rawls, A Theory of Justice, cit., p.26.)

29 Cfr. V. Erasmo, Homo Capabilitiensis. Un paradigma antropologico per il futuro ispirato alla riflessione di Amartya Sen, Atti del Convegno SIFM 2019, forthcoming.

30 A. Sen, Development as Freedom, 1999, trad. it., a cura di G. Rigamonti, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2001, cit. p. 41.

31 Ibidem.

32 Ivi, p. 43.

33 Tra le sue prime e più interessanti trattazioni sul tema, si ricorda il Rawls versus Bentham: an Axiomatic Examination of the Pure Distribution Problem, 1974, in cui egli affronta la questione redistributiva e della comparabilità dei livelli di benessere individuali, attraverso una critica rivolta agli utilitaristi e a Rawls, in vista di una possibile risposta per il superamento delle disuguaglianze sociali. Infatti, entrambi si imbattono in un fallimento logico-formale, non riuscendo a individuare una regola decisionale per la riduzione delle disuguaglianze capace di rispettare gli assiomi predefiniti.

34 A. Sen, Equality of What?,”Tanner Lecture on Human Values”, 1, Cambridge University Press, Cambridge, 1980, pp. 195-220, trad. it., (a cura di) S. Zamagni, “Uguaglianza, di che cosa?” in Scelta, benessere, equità, il Mulino, Bologna, 1986, cit., p. 357.

35 Cfr. A. Sen, Inequality Rexamined, 1992, trad. it, (a cura di) Balestrino A., La diseguaglianza, il Mulino, Bologna, 1994.

36 Cfr. A. Sen, Equality of What?, “Tanner Lecture on Human Values”, 1, Cambridge University Press, Cambridge, 1980.

37 Cfr. G. Amari, Parla Federico Caffè. Dialogo immaginario sulla società “in cui viviamo”, Armando Editore, Roma, 2014.

38 Al contrario, nelle nazioni più ricche e sviluppate, sono le attività imprenditoriali a essere centrali nel mercato, le quali non vanno inibite con una eccessiva regolamentazione.

39 Cfr. A. Sen, “The Moral standing of the Market”,in (a cura di) F. Paul, F. D. Miller Jr, J. Paul, Ethics and Economics, Basil Blackwell, Oxford, 1985, pp. 1- 19, trad. it., (a cura di) V. Grisoli, Mercato e morale, “Biblioteca della libertà”, XXI, 94, pp.5-27.

40 Cfr. A. Sen, On Ethics and Economics, 1987, trad. it., (a cura di) S. Maddaloni, Etica ed Economia, Laterza, Bari, 10 ed., 2006.

41 Cfr. A. Sen, Rational Fools: A Critique of the Behavioral Foundations of Economic Theory, “Philosophy &Public Affairs”, 6, 4, 1977, pp. 317-344, trad. it., (a cura di) S. Zamagni, “Sciocchi razionali: una critica dei fondamenti comportamentistici della teoria economica” in Scelta, benessere, equità, il Mulino, Bologna, 2005, pp.147-178.

42 Cfr. A. Sen, Goals, Commitment and Identity, “Journal of Law, Economics& Organization”, 1, 2, 1985, pp. 341-355.

43 Per approfondimenti sul tema, si rimanda a S. Caruso, Homo oeconomicus. Paradigma, critiche, revisioni, Firenze University Press, Firenze, 2012.

44 Cfr. P. Mongin, Rational Choice Theory Considered, “Philosophy of the Social Sciences”, 21, 1, 1991, pp. 5- 37.

45 Ho avuto modo di discutere di una possibile lettura antropologica del pensiero di Amartya Sen in un seminario tenuto in presso la Maison de la Recherche en Sciences Humaines, UFR SEGGAT de l’Université de Caen, France, intitolato Homo capabilitiensis: a paradigm inspired by Amartya Sen’s thought walking through Aristotle and Smith’s path. Ringrazio per questo cortese invito la Prof.ssa Muriel Gilardone, una delle massime studiose mondiali del pensiero dell’economista e filosofo indiano, nonché preziosa interlocutrice per i miei studi sul tema.

46 A. Sen, “Sciocchi razionali”, cit., p.157.

47 Cfr. A. Sen, Development as Freedom, Oxford University Press, New York, 1999.

48 Cfr. G. Amari, Parla Federico Caffè. Dialogo immaginario sulla società “in cui viviamo”, Armando Editore, Roma, 2014.



Valentina Erasmo, PhD student in “Ethics and Economics”, Università degli Studi G. d’Annunzio Chieti-Pescara. Laureata in Filosofia e in Economia. I suoi studi riguardano la riflessione etico-economica di Amartya Sen tra gli anni Settanta e Novanta, il ruolo dell’eugenetica nel pensiero economico americano nel periodo tra le due Guerre e la genesi dei beni relazionali in ambiti specifici del reale.


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